RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

War Requiem di Britten

al Liceu di Barcellona

Il nuovo titolo della presente stagione lirica è stato molto particolare. Seguendo le ultime tendenze della moda si presentava una versione scenica di uno dei più grandi lavori di Benjamin Britten. Per fortuna qui si evitava lo scempio che ha visto vittime opere simili, in testa il Requiem di Verdi (col trito pretesto tipico: si tratta di un'opera lirica travestita) e quello di Mozart, ma non credo che abbiano apportato molto a chiarire o approfondire il senso i movimenti e gesti del coro (i solisti passeggiavano e fingevano di essere coinvolti ma personalmente non mi hanno convinto affatto). E francamente quella ‘scena finale' con tanto di verde rigoglioso (la speranza) e fiori che sbocciano (la primavera e la rinascita) non mi sembrano per niente adatti al senso delle parole e della musica, ma tant'è. Contenti loro... Io avrei preferito la versione in puro e semplice concerto come la concepiva Britten, ma si sa che senza novità non c'è salvezza possibile. Sicché diciamo che è buono l'allestimento per la regia di Daniel Kramer, una coproduzione con la English National Opera ed il National Kaohsiung Center for the Arts. Solamente vorrei sapere quant'è costata la produzione e quanto sarebbe costata ‘solo' la versione in forma di concerto.

L'aspetto musicale, però, che alla fin fine è sempre quello che conta, era molto buono. Il direttore musicale del Liceu, Josep Pons, firmava una versione impeccabile ed è stato notevole il lavoro dell'orchestra del Teatro (perché l'accanimento a dire sempre che ha bisogno di migliorare molto quando non sempre, come in questo caso, è vero?). Dicasi lo stesso del coro della casa, preparato per la prima volta dal nuovo maestro, Pablo Assante, in un'ardua impresa musicale al netto di evoluzioni sceniche. Altrettanto bravo il coro infantile Veus della città di Granollers, istruito da Josep Vila i Jover.

I tre solisti rispondevano all'idea originale di Britten di presentare lo sforzo di conciliazione del dopoguerra con tre dei paesi in conflitto, e cioè l'allora Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, l'Inghilterra e la Germania, ed erano il soprano Tatiana Pavlovskaya, il tenore Mark Padmore ed il baritono Matthias Goerne, tutti e tre molto bravi con le loro diverse voci, scuole e tecniche. Il soprano russo si dimostrava più versatile di quanto non pensassimo di lei fino adesso, schedata come uno ‘spinto' atto a cantare un certo Verdi e alcuni titoli pucciniani. Lo faceva molto bene, sempre con la sua voce scura e un'emissione gutturale, di acuto facile (la parte è molto esigente: basta ricordare che era destinata alla grande Galina Visneskaja, cui all'ultimo momento il governo non diede il permesso, ed a sostituirla provvedeva l'irlandese Heather Harper, in uno dei grandi trionfi della sua carriera). Padmore ha fatto una grande carriera sulla base del repertorio barocco e del canto da camera. Ha certo alcune delle caratteristiche dei tenori inglesi (la parte ovviamente veniva scritta all'intenzione di Peter Pears, compagno in arte e in vita del compositore) e ha cantato tutto in modo degno di elogio.

I tre cantanti si dividono le parti in modo equilibrato, la donna isolata con il coro, gli uomini tante volte insieme, ma, qualunque sia il motivo, il protagonismo condiviso si risolve leggermente in favore del baritono (parte pensata per la vocalità di Dietrich Fischer-Dieskau) e così è stato anche questa volta, con scene o senza. Goerne in questo caso era indubbiamente ideale per colore e canto e così l'ha dimostrato cantando con grande emozione e dando un senso a ogni parola. Grande successo.

Jorge Binaghi

25/10/2021

La foto del servizio è di Antonio Bofill.