RECENSIONI
-

_ HOMEPAGE_ | _CHI_SIAMO_ | _LIRICA_ | _PROSA_ | _RECENSIONI_| CONCERTI | BALLETTI_|_LINKS_| CONTATTI

direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Il riserbo di Bronfman e la comunicatività di Pappano

per la prima volta insieme a S. Cecilia

Schivo e ritroso, Yefim Bronfman è certamente uno dei grandi pianisti del nostro tempo. Decide di seguire in sala la seconda parte del concerto, come un semplice spettatore, dopo essere stato protagonista assoluto della prima. Riceve i numerosi complimenti che gli vengono rivolti con grato riserbo, mostrando una maggiore emotività quando questi gli vengono offerti nella sua lingua madre dai numerosi astanti di etnia russa. Bronfman è infatti nato nel 1958 a Tashkent, in Uzbekistan, allora parte dell'Unione Sovietica. In seguito è emigrato a Israele, per stabilirsi poi definitivamente negli Stati Uniti. Un'esperienza artistica e umana ricca e complessa, che per la prima volta ha intrecciato il suo cammino con la trascinante comunicativa di Antonio Pappano.

Il palcoscenico è quello consueto dell'Auditorium Parco della Musica. In programma il Quinto concerto per pianoforte e orchestra op. 73 di Beethoven, un lavoro nel quale gli orizzonti grandiosi appaiono screziati da un lirismo nuovo. Pappano appare lontano dalla scuola direttoriale tedesca. La sua lettura privilegia l'intima commozione e i romantici abbandoni. Il suono è forse meno assertivo e virile, ma più caldo e avvolgente. Per questo il momento migliore è nell'Adagio centrale, tratteggiato con toccante affettività. Bronfman è un pianista dotato di una tecnica prodigiosa, fantasioso nella resa espressiva e versatile nella trama dialogica intessuta con l'orchestra. Nell'unico bis concesso al pubblico, l'Andante caloroso dalla Sonata numero Sette di Prokof'ev, mostra tutte le doti di un virtuosismo perfettamente calibrato, totalmente dedito alle esigenze della musica. Una sommessa e avvolgente melodia conduce a un parossismo sonoro di insostenibile tensione, per poi ripiegare nuovamente sulle atmosfere iniziali. La simbiosi con il mondo poetico di Prokof'ev non potrebbe essere maggiore.

Seconda parte dedicata alla Sinfonia in do maggiore di Schubert, detta la Grande per i suoi smisurati orizzonti espressivi. Lo stereotipo del compositore totalmente a proprio agio nel miniaturismo idilliaco viene trasceso da quest'opera dal colossale impianto formale. Pappano la affronta con la consueta spontaneità comunicativa, senza perdere di vista i pilastri costruttivi e l'ampiezza del disegno. Siamo ancora una volta distanti dal fervore dionisiaco e dall'incessante tensione che ad esempio un direttore come il sommo Furtwängler, peraltro poco dedito al repertorio schubertiano, infondeva nella partitura. Pappano ammorbidisce il dramma per immergersi nell'incessante fluido melodico che permea la scrittura. Ne risulta uno Schubert meno tormentato, più vicino a quel sogno di eterna giovinezza che Schumann ravvisava in questa Sinfonia. Una sorta di profezia smentita dal prematuro interrompersi del cammino terreno di Schubert, compiuta però se guardiamo al percorso artistico del grande autore viennese.

Se in occasione dello spettacolo inaugurale della stagione qualche fila era purtroppo rimasta vuota, in questo caso l'Auditorium registrava davvero il tutto esaurito. Grande il successo tributato dal pubblico agli interpreti e ai complessi dell'Accademia.

Riccardo Cenci

4/11/2016

La foto del servizio è di Riccardo Musacchio & Flavio Iannello.