L'eterno femminino
nei bassifondi di Buenos Aires
Rappresentata per la prima volta al Teatro Colón di Buenos Aires nel maggio del 1968, Maria de Buenos Aires, composta da Astor Piazzolla su libretto di Horacio Ferrer, è un'opera tango, cioè una rappresentazione che risale alle origini del tango, nato appunto in Argentina e Uruguay, inteso come un'unità di musica, danza, testo e canzone, e non come un semplice ballo come attualmente lo si considera. Protagonista ne è una povera prostituta, di nome appunto Maria, che trova la morte nei bassifondi di Buenos Aires e viene condannata, dopo la morte, a un inferno che si identifica con la città stessa. Rivivendo la propria vita attraverso la sua ombra, in un continuo connubio col duende, demone del tango, viene ingravidata dalle parole di quest'ultimo e dà alla luce una bambina, una nuova Maria, quasi a suggello della sua rinascita e del trionfo dell'eterno femminino.
Si tratta per molti versi di un'opera criptica, nella quale confluiscono tematiche pagane e cristiane, dalla potnia mater preomerica alla Diana degli Efesini, dal tema della prostituzione sacra al cortocircuito tra Maria madre di Dio e la Maddalena: il perdersi di Maria nei vicoli di Buenos Aires e la sua successiva rinascita alludono a miti ancestrali di nascita e resurrezione, dove le tematiche sessuali avevano un ruolo rilevantissimo. Venere Pandemia, Maria è comunque simbolo della femminilità datrice di vita, perpetuatrice del genere umano, e il mistero della sua rinascita attraverso se stessa è il mistero della vita. E non si può non rilevare come Maria de Buenos Aires, mistero in musica, sia stata composta solo un anno prima del celebra Mistero Buffo di Dario Fo, anch'esso demistificante nei confronti della religione tradizionale, giacché interpreta il mistero cristiano dalla parte dei poveracci, dei diseredati, e lo fa in maniera buffa, più o meno come il testo di Ferrer lascia irrompere sulla scena folletti, caricature di psicanalisti, prescrivendo infine che Maria partorisca dinanzi a tre muratori Magi.
Tale tematica panteistica e femminile, interpretata con successo anche in campo narrativo – basti pensare a Il codice da Vinci di Dan Brown e alla bellissima novella di Andrea Camilleri Maruzza Musumeci – insieme alle valenze simboliche e misteriche del testo argentino, è stata alla base della bella regia di Salvo Piro, che ha curato anche la traduzione della Maria de Buenos Aires andata in scena il 17 giugno al Bellini di Catania, all'interno della rassegna Un palcoscenico per la città, a cura della Camerata Polifonica Siciliana, presieduta da Aldo Mattina e sotto la direzione artistica di Giovanni Ferrauto.
Una regia colta, attenta alle stratificazioni culturali celate nel testo, che non ha esitato a esaltare da un lato l'aspetto grottesco e fantastico della vicenda, grazie anche al valido lavoro sull'espressione corporea di Roberto Capaldo e alle icastiche maschere di Alfredo Guglielmino, dall'altro a interpretarla proprio come mistero religioso in chiave chiaramente demistificatoria nei confronti della religione codificata, e qui non va certo dimenticato il giudizio negativo del cattolicesimo, che reputava un ballo peccaminoso il tango, ipertrofizzando al contempo una simbologia cristiana rovesciata, dove la Mater Dei è una prostituta, salvando e lasciando riemergere insieme il valore storico e sociale di un'opera nata nel '68 in un paese cattolico come l'Argentina. Lo stesso Salvo Piro, interpretando il Duende, ha costruito il suo personaggio in chiave istrionica e buffonesca, con una recitazione stentorea, affabulatoria e dall'ampia gestualità, che rammentava appunto quella di Fo in Mistero Buffo.
Anche la parte musicale affidata al Piazzolla Ensemble, con Pietro Cavalieri al pianoforte, Giovanni Anastasio al violino, Maurizio Salemi al violoncello, Carmelo La Manna al contrabbasso, Alessandra Marino al flauto, Giuseppe Ventura al clarinetto, Rosario Gioeni alla chitarra e percussioni e infine Massimiliano Pitocco al bandoneón, si è rivelata di ottimo livello, giacché ha dosato con estrema attenzione le sonorità, emergendo in tutto il suo colore nei momenti di pura danza, ma riuscendo ad alleggerire in maniera egregia nelle parti cantate e recitate, permettendo di gustare le battute e dunque di seguire il testo senza alcuna difficoltà.
Bene anche i danzatori Mimma Mercurio (nel ruolo di Maria e dell'ombra di Maria) e Giuseppe Lotito, il bandoneonista tanguero, mentre il mezzosoprano Alessandra Lombardo e il baritono Salvo Disco sono riusciti a imprimere il giusto colore mediterraneo a quest'interessante opera, che meriterebbe certamente una ripresa, dato anche il consistente afflusso di pubblico che ha quasi esaurito i posti disponibili in teatro. Completavano il cast Simona Allegra, Teresa Barbagallo, Claudia Cappuccio, Carlo Genova, Giuseppe Leonardi, Michelangelo Sciuto e Valerio Severino.
Applausi entusiasti alla fine, a riprova che proporre spettacoli inconsueti è sempre una scelta vincente.
Giuliana Cutore
19/6/2018