RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Addio, fiorito asil…

Madama Butterfly può essere letta, oltre che come la tragedia d'amore della giovanissima geisha ceduta in sposa da un losco sensale di matrimoni ad un ufficiale americano, che la prende in moglie di fatto come potrebbe affittarsi una casa; oppure anche, in chiave più cogentemente moderna, come il dramma che scaturisce da un'integrazione socio-culturale mancata. Integrazione mancata in quanto affidata a subdoli e sottili equivoci e sottintesi, al centro dei quali, appunto trafitta come una farfalla da uno spillone, sta l'ingenua e disarmata Cio-Cio-San, fiduciosa, e sin troppo, nella realtà di un matrimonio che per Pinkerton è poco più di una farsa folkloristica, e soprattutto a scadenza ben definita. Dramma dell'integrazione giocato tra sordidi affaristi che, oggi come ieri, miete vittime anonime destinate a divenire cifre di una futura statistica.

In tale chiave di lettura, non si può non plaudire alla Madama Butterfly messa in scena (con diretta in mondovisione) da Enrico Castiglione il 7 luglio al Teatro Antico di Taormina, con replica il 9. Il regista romano ha infatti profuso in questa sua ultima produzione grande cura scenografica, ma soprattutto drammaturgica, guidando i cantanti e le masse corali lungo una direttiva tesa proprio a evidenziare il falso incontro tra la cultura giapponese e quella americana: statiche, ieratiche e preformate le movenze e la gestualità dei personaggi asiatici, in una resa magistrale del profondo e ipocrita formalismo orientale, teso a celare tra inchini, cerimonie e religione degli avi l'eterna sete di guadagno e di sfruttamento dell'uomo sull'uomo; realistici, colmi di bonomia e di democraticità i personaggi americani, Pinkerton, Sharpless e poi Kate Pinkerton (quest'ultima addirittura irrigidita e quasi cristallizzata, personificazione del perbenismo puritano americano del primo Novecento), ma anch'essi tesi comunque a tirarsi fuori dall'impiccio col minor danno possibile.

Al centro, impossibile punto focale di integrazione, Butterfly, sulla quale Castiglione ha compiuto un vero e proprio scavo psicologico, aiutato anche dalle ottime doti drammatiche del soprano coreano Hye Myung Kang, raggelando quasi il personaggio tra la ieraticità orientale e la futura disperazione verista, in una resa scenica di grande impatto emotivo, dove la stereotipa Butterfly orientale, dolce, minuscola come una bambolina di porcellana, cedeva il passo a una creatura dilacerata, tesa verso un sogno impossibile, d'amore e di fuga dal Giappone, ma profondamente sola dinanzi alla sua sciagura, e per la quale il ritorno alle tradizioni patrie, nella forma più cruenta del suicidio, rimane l'unica alternativa possibile.

Di sicuro effetto, pur nei suoi scarni elementi, la scenografia, che ha ricostruito l'ambientazione tipica di una dimora giapponese, coi suoi laghetti fatti di giochi di luce azzurri, ottima la risoluzione del celeberrimo coro a bocca chiusa, accompagnato dalle delicate movenze di comparse che agitavano enormi ventagli che rammentavano quasi le ali di gigantesche farfalle, e il fulmineo buio che ha preceduto il cambio luci dell'ultima alba di Cio-Cio-San, prima della catastrofe finale. Suggestiva infine la variazione registica che ha fatto suicidare la protagonista dinanzi a Pinkerton, e non dinanzi al bambino bendato, con Suzuki che porge il pugnale per poi rannicchiarsi irrigidita nell'attesa della morte della sua padrona, quasi a non lasciare scampo al rimorso di Pinkerton e a ribadire l'esito tragico di un'integrazione alla cui base c'è solo il denaro.

I costumi di Sonia Cammarata, curati come sempre in ogni particolare, raffinati e assolutamente fedeli all'ambientazione storica, hanno completato la regia, accentuando con la scelta dei colori e dei tessuti l'uso sapiente delle luci e il particolare simbolismo attribuito a Butterfly, avvolta in un kimono azzurro e in una luminescente veste nuziale, ma in un raffinatissimo abito rosso fuoco, dove il nero gettava quasi una luce funebre, nella prima parte del secondo atto, che segna il passaggio tra la fiducia estatica e la dolorosa presa di coscienza.

Sul piano strettamente musicale, Myron Michailidis ha diretto con mano sicura l'orchestra del Taormina Opera Festival: il direttore greco è stato particolarmente attento a evitare le secche di un romanticismo attardato, con tempi abbastanza stringati, che non indulgevano mai a lentezze e compiacimenti, evidenziando il rincorrersi dei leit motiv (il duetto del primo atto, l'inno americano, il tema del coro a bocca chiusa) che da un punto di vista storico sono un debito alla tradizione wagneriana e del tardo Verdi.

Zoran Todorovich, Pinkerton, si è disimpegnato abbastanza bene nel ruolo, con una zona media dal timbro nobile e un buon fraseggio, ma ha purtroppo evidenziato alcune sgranature negli acuti che, unite ad uno sbiancamento generale della zona alta, gli hanno impedito di rendere al meglio, sia nel duetto d'amore del primo atto, sia in "Addio fiorito asil".

Piero Terranova, baritono dalla voce calda e non priva di dolci inflessioni, ha interpretato il suo Sharpless evidenziandone i tratti profondamente umani: di buona classe il suo fraseggio, molto musicale, e precisa e attenta la dizione.

Bene tutti i comprimari, in particolare la Suzuki di Annunziata Vestri e il Goro di Andrea Giovannini.

Vera rivelazione della serata è stato il soprano Hye Myung Kang, sia da un punto di vista vocale che scenico: cantante dotata di una voce molto estesa e di una tecnica di altissimo livello, dai filati impeccabili, ha offerto al pubblico una Butterfly di grande impatto emotivo, ma al contempo ben calibrata e immune da svenevolezze. Sempre perfettamente coperti gli acuti, con una zona media priva di cedimenti, ha cantato sempre con estrema disinvoltura e buona dizione, non permettendo mai all'impervia tessitura canora di farle dimenticare l'aspetto drammatico del personaggio, che non risultava mai statico né forzato, ma anzi sempre assolutamente naturale e quasi facile da cantare.

Giuliana Cutore

8/7/2016