RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


Madama Butterfly all'Arena di Verona

Penultimo titolo operistico nella Stagione dell'Arena di Verona: Madama Butterfly di Giacomo Puccini, nell'allestimento di Franco Zeffirelli di un decennio addietro. Sono state fatte alcune critiche alla direzione artistica circa la riproposta di spettacoli delle passate stagioni, ma il pubblico e la critica devono rendersi conto che non è più possibile produrre di continuo spettacoli nuovi per il loro costo e per l'impossibilità di coprodurli, nessun altro palcoscenico al mondo ha le caratteristiche dell'Arena, pertanto come fanno tutti i teatri, è giusta e doverosa una riproposta di produzioni, si pensi che nei teatri tedeschi austriaci sono utilizzati per decenni. La ripresa di questa Madama Butterfly è non solo doverosa, per l'ammortamento dei costi, ma necessaria fintanto che la Fondazione non avrà una serie di produzioni da alternare più agevolmente. Eventualmente sarebbe da imputare alla direzione del Teatro la scelta troppo ripetitiva di regista, come nel caso del maestro fiorentino, combinandosi in tal modo troppe produzioni nella stessa stagione con eguale firma.

Zeffirelli creò questo spettacolo per l'Arena nel 2004 e fu l'unica volta che si cimentò, nel corso della sua lunga carriera, con le vicende della sventurata ragazza giapponese. Come per Turandot la mano dello scenografo prevale su quella del regista. Una collina artificiale mobile collocata sul vasto palcoscenico crea una Nagasaki da cartolina, che sarebbe anche d'impatto per l'occidentale se non fosse sovraffollata di comparse superflue, talvolta irritanti, che creano confusione e distolgono dal percorso drammatico. C'è di tutto in questa Butterfly: venditori, ambulanti, contadini con carretti, portantine, marinai americani e quanto più si possa immaginare, tant'è la mano zeffirelliana ci ha abituato soprattutto negli ultimi spettacoli. Si potrebbe pensare che si crea un ambiente ideale giapponese ove narrare le tragiche vicende, invece questo mondo sovraccarico e troppo stereotipato rema contro una drammaturgia ben delineata dal compositore e dai librettisti. La regia è pertanto quasi assente, affidandosi ad un via vai di personaggi che non dovrebbero esistere. Sulla stessa riga i costumi di Emi Wada, ma che creano tutt'altro effetto, pregevole e di gran classe.

Marco Armiliato è direttore diligente e preparato, conosce i mezzi per cavare dall'orchestra colori e narrazione di calibrato mestiere e preziosa musicalità, non certo aiutato da uno spettacolo così illustrativo. Non sono mancati momenti di poesia e delicata enfasi.

Delude e non poco il cast. Oksana Dyka è un soprano drammatico e di robusta voce, ma poco propensa ad un fraseggio eloquente, in particolare nel primo atto, dove è ancora la Cio-Cio-San bambina. Nella seconda parte emerge sempre la potenza della voce, talvolta non calibrata nel settore acuto, ma mai l'interprete. Anche Roberto Aronica, Pinkerton, è un tenore a senso unico con un canto sempre aperto e forte ma mai intimista e spesso troppo esuberante.

Gabriele Viviani era un corretto Sharpless, tuttavia anche lui poco espressivo e non a suo agio nel canto di conversazione. Molto brava Veronica Simeoni nel ruolo di Suzuki, molto espressiva e con fraseggio da plauso, anche se per chi scrive è più un soprano che un mezzosoprano.

Decoroso e vivace il Goro di Francesco Pittari, ruvido il Bonzo di Paolo Battaglia e buono lo Yamadori di Federico Longhi. Buona prestazione del coro istruito da Armando Tasso, in particolare nel pregevole assieme a bocca chiusa che chiude il terzo atto. Una menzione particolare merita “Dolore” il figlio di Butterfly che non figura in locandina. Il bambino, sui tre anni circa, ha seguito alla lettera le indicazioni registiche risultando commovente in molte scene.

Discreto e cordiale successo al termine, ma per una recita di Ferragosto e senza pioggia mi sarei aspettato più pubblico.

Lukas Franceschini

23/8/2014

Le foto del servizio sono di Ennevi.