La Natività rubata e la Sicilia saccheggiata
Ci sarà mai acqua sufficiente a lavare il sangue che gronda dalle strade di Palermo? Questo sembrano chiedersi le percussioni ad acqua che accompagnano la prima parte dell'oratorio di Giovanni Sollima dal titolo Il Caravaggio rubato, andato in scena al Bellini di Catania il 18 marzo con replica il 19.
L'opera trae spunto dal furto di una Natività di Caravaggio, custodita nella chiesa di San Lorenzo a Palermo, e trafugata tra il 17 e il 18 ottobre 1969 ad opera della mafia. A tutt'oggi nulla si sa circa gli autori del furto, né tantomeno quale sia stata la sorte del quadro, rubato forse su commissione di qualche potente dell'epoca, o forse unicamente per sfregio, per una voluttà della mafia di ribadire la propria forza e contemporaneamente l'estrema debolezza dello stato. Il Caravaggio scomparso diviene così metafora e simbolo di una terra defraudata del diritto, una natività negata che cela una rinascita negata, una sparizione che rimanda ad altra sparizione, quella del giornalista de L'Ora Mauro de Mauro, scomparso a Palermo il 16 settembre 1970 e mai più ritrovato. Il furto del quadro proietta la sua ombra anche sull'altro delitto artistico compiuto dalla mafia, la bomba in via dei Georgofili del maggio 1993, che danneggiò il Corridoio Vasariano e alcuni quadri, fra i quali Il concerto musicale di Bartolomeo Manfredi e un'Adorazione dei pastori di Gerrit van Honthorst.
Un filo rosso, una scia di sangue lunga quasi trent'anni lega tali imprese criminose, che hanno falciato vite umane, distrutto opere d'arte, tolto la dignità ad una terra, avvinghiandosi in maniera scellerata al potere, e giungendo, complici un muro d'omertà che solo oggi va pian piano sgretolandosi, ad inserirsi fin nei gangli vitali dello stato, e a far saltare un pezzo d'autostrada pur di fermare un uomo come Giovanni Falcone, giunto insieme a Paolo Borsellino, suo compagno anche di martirio, forse a scoprire troppo, o a mirare troppo in alto, come del resto attesta l'ultimo mistero, l'agenda rossa (ancora il rosso) di Borsellino, scomparsa subito dopo l'attentato e mai più ritrovata.
Questa lunga storia narra l'opera di Sollima, valendosi dei testi di Attilio Bolzoni, recitati dallo stesso, sorta di controcanto all'intensità della musica, della regia di Cecilia Ligorio, dalla cui ispirazione è nata l'idea di unire in parole, musica ed immagini questa oscura vicenda per molti versi emblematica, degli incisivi e talvolta inquietanti video di Igor Renzetti, al quale la Ligorio ha chiesto “di guardare Palermo con gli occhi di chi scopre un mondo che non conosce, senza pregiudizi”, e infine delle fotografie di Letizia Battaglia, che hanno reso agli spettatori le immagini di quegli anni terribili, di quel sangue sparso sul selciato, delle donne scalze, scarmigliate e disperate, degli uomini intenti a fissare la strada, a guardarsi le scarpe, con volti inespressivi, assenti, di chi non vuole vedere, di chi sa che non deve vedere quello che è sotto gli occhi di tutti.
A chi in quegli anni era già adulto, queste foto hanno ricordato gli assassini del giovane Beppe Montana, di Peppino Impastato, di Pier Santi Mattarella, di Pio La Torre, di Carlo Alberto Dalla Chiesa, di Rocco Chinnici, di Ninni Cassarà, di Libero Grassi, di Giuseppe Fava e moltissimi altri: uccidendo questi uomini, la mafia ha tolto padri ai figli, o ha impedito che nascessero altri bambini. Sempre il tema del nascere, della Natività negata, riguardi un bambino, Cristo, o semplicemente la speranza…
Da questa rabbia, da questo dolore, da questa disperazione che ha attanagliato tutti i siciliani che con la mafia non intendevano e non intendono aver nulla da spartire, Giovanni Sollima ha tratto un'opera musicale di rara intensità che, attingendo a suggestioni del passato, in particolare al Gloria del medievale Guillame de Mauchaut e al testo di un madrigale di Carlo Gesualdo da Venosa, le ha commiste con ritmi talvolta di ispirazione magrebina, talvolta con intervalli orientaleggianti di tipo balcanico, talvolta, in sinestesia con le foto della Battaglia che scorrevano sul fondo, avvicinandosi pian piano e avvolgendo lo spettatore nel loro lento definirsi, con una fulminea ispirazione circense, proprio mentre scorreva una fotografia che mostrava una gran folla subito dopo un omicidio. Particolare rilievo ha assunto l'assolo iniziale di violoncello, eseguito dallo stesso Sollima, che ha tratto dal suo strumento note dolorose, da compianto funebre, con modulazioni e sonorità che rammentavano quelle delle zampogne che sono le compagne inseparabili del Natale.
Il coro, istruito da Ross Craigmile, ha eseguito in maniera davvero superba i brani affidatigli, coadiuvato dall'orchestra del nostro teatro che ha ancora una volta dimostrato la sua professionalità e un sicuro affiatamento che le ha permesso di raggiungere una notevole corposità del colore. In particolar modo le percussioni sono riuscite a punteggiare con misura, eleganza e notevole espressività il denso tessuto musicale della partitura, mentre gli archi si sono distinti nei lunghi legati che accompagnavano le esibizioni solistiche di Sollima, conclusesi con un visionario assolo per viola da gamba, quasi a legare tra loro epoche come il Medioevo, il Rinascimento e la seconda metà del Novecento, purtroppo accomunate dal delitto, dalla strage e dagli assassinii su commissione.
Infine, una postilla al Caravaggio rubato: di tale dipinto esisteva una copia coeva, dipinta da Paolo Geraci, amico del Merisi, custodita al Museo del Castello Ursino di Catania. Proprio nei giorni in cui va in scena l'opera di Sollima, il quadro viene esposto nel foyer del Bellini, in coincidenza con la “Notte bianca dei musei” di Catania.
Giuliana Cutore
19/3/2016
Le foto del servizio sono di Giacomo Orlando.
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