Carmen alla Scala di Milano
Carmen di Georges Bizet ritorna al Teatro alla Scala in due sessioni separate di recite, la prima in primavera, la seconda a giugno con due cast totalmente differenti. Lo spettacolo è quello creato da Emma Dante per l'inaugurazione della stagione 2009-2010. Rivederlo oggi desta ancor più perplessità rispetto alla prima visione. È indubbio che la signora Dante sia una donna di teatro, originale e capace di sviscerare molteplici aspetti scenici ed interpretativi, tuttavia questa Carmen fu la sua prima regia lirica e la lettura non fu, e non è oggi, del tutto risolta. La sua regia è eccessivamente impregnata di simbolismi, anche ricercati, ma sovente fuori luogo o superflui e talvolta inutili. Sterili sono tutti i riferimenti religiosi d'ambientazione mediterranea, i quali non hanno nulla a che vedere sia con la partitura sia con la novella di Mérimée. Il ruolo di Micaela è imbrigliato in una giovane che cerca solo il matrimonio con Don José, incapace di propria determinazione perché sempre accompagnata da un religioso, quando invece non è rilevato il coraggio e la ferrea volontà della giovane di sani principi anche morali. Altro elemento che disturba è l'insistente messaggio contro la pratica della corrida. Oggi è anche plausibile tale posizione, che in larga parte condivido, ma nella cultura di fine Ottocento non è assolutamente proponibile; inoltre, sminuire un aspetto così forte e folkloristico della Spagna, citato e sviluppato anche dalla più elevata letteratura e con un personaggio come Escamillo così focalizzato, porta fuori strada una regia che dovrebbe attenersi al testo e non a considerazioni o principi personali. L'atto più riuscito è il secondo, la splendida taverna di Lillas Pastia, dove la canzone bohèmienne è una frizzante e vertiginosa danza di tutto il cast assieme agli attori della “Compagnia Sud Costa Occidentale” e al Corpo di Ballo del Teatro alla Scala. Bravissimi! Per non parlare del finale atto primo ove Carmen è legata da due lunghissime funi appese ai palazzi circostanti. Altro elemento drammatico e molto efficace è nel finale atto IV quando nel duetto, Don José, rifiutato dalla protagonista, tenta di stuprarla in segno di massimo disprezzo e cieca ferocia. Insomma uno spettacolo con luci ed ombre ma che si rivede volentieri, anche se non tutto è comprensibile e manca in generale del colore e dell'atmosfera andalusa che lo caratterizza.
Il cast impegnato in queste prime tre recite non era dei migliori, anche se composto di nomi famosi. Elina Garanca è una Carmen bellissima, bionda e non gitana ma credibile nel personaggio e con una recitazione di livello seppur non ben calibrata sotto l'aspetto della seduzione femminile, al termine cade sovente nell'impersonale. Vocalmente non lascia grande traccia poiché il grave è pressoché inesistente, il centro limitato, mentre il settore acuto è ben rifinito. La cantante ha il pregio di non scendere nell'interpretazione vocale greve e mantiene essenzialmente una certa eleganza, ma il carisma, l'accento e il fraseggio sono deboli, pur mantenendo sempre una linea calibrata.
José Cura ritornava alla Scala in un ruolo che l'ha reso celebre in tutto il mondo. Peccato che questa rentrée avvenga solo ora, poiché il cantante è in parte usurato vocalmente e il suo Don José deve venire a patti con uno smalto molto ridimensionato, un acuto accennato e suoni non sempre precisi. Scenicamente è Don José, per un'innata teatralità scenica e la possibilità di accentare, quando gli è consentito, frasi di grande efficacia e spessore. È un vero peccato che una voce così importante e con mezzi non comuni al suo apparire, non sia riuscita a svilupparsi tecnicamente, oggi avremmo sicuramente un grande tenore ancora in attività.
La migliore del cast era Elena Mosuc, la quale tuttavia è leggermente sotto le attese. Pur dimostrando sempre una qualità di voce eccelsa, e una linea di canto precisa, manca di quel mordente lirico ed abbandono sentimentale (specie nel duetto atto I) che caratterizza la parte. Probabilmente il repertorio allargato degli ultimi tempi oltre i suoi mezzi ha inficiato, lievemente, una voce di prim'ordine.
Personalmente ho trovato Vito Priante completamente fuori ruolo, il baritono ha realizzato prove notevolmente superiori in altri repertori. Il canto è sempre corretto seppur con volume limitato, ma quello che maggiormente è pesato alla sua performance è la vis interpretativa che per tal effetto necessiterebbe anche di una voce più ridondante e capace di superare l'orchestra, mentre abbiamo avuto un cantante preciso, ma sembrava intimorito dalla parte.
Di buon rango gli altri cantanti nei ruoli minori: il bravo Alessandro Luongo (Morales), le puntuali Mercedes e Frasquita, ripetitivamente Sofia Mchedlishvili e Hanna Hipp, i due precisi contrabbandieri Michal Partyka (Dancario) e Fabrizio Paesano (Remendado) e Gabriele Sagona (Zuniga).
Precisa e puntuale la direzione di Massimo Zanetti, ma mi sarei aspettato più slancio e più attenzione alle tinte e ai colori. Invece, ci siamo trovati di fronte ad un direttore preciso, senza sbavature ma tutto sommato di ruotine ed anonimo, che guida l'intera partitura con precisione, ma non trova una sua personale lettura soprattutto nelle sonorità, forse ciò è dovuto ad un cast non pienamente azzeccato.
Rilevante la prestazione del coro, diretto da Bruno Casoni, preciso e di grande professionalità.
Teatro esaurito e lunghi applausi per tutti al termine.
Lukas Franceschini
17/4/2015
Le foto del servizio sono di Brescia e Armisano.
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