Reinventare l'opera Viaggio nel teatro musicale in chiave jazz
Nasce dall'idea della musica come luogo dinamico e mutevole il progetto del trombettista e flicornista Dario Savino Doronzo, dall'ardita scommessa di voler stabilire un gioco dialettico fra opera e jazz, non per annullare le differenze fra generi di per sé estremamente diversi, ma per rivendicare la libertà dell'artista, i polifonici riverberi dell'evento estetico. Passato e presente si incrociano modificando equilibri che si credevano consolidati, evocando il concetto di tradizione espresso da T.S. Eliot quale sistema eternamente cangiante, mosso dalle onde imprevedibili dell'intelletto umano e delle opere da questo prodotte. Se l'idea di base non è nuova, essendo la cosiddetta “contaminazione” estremamente diffusa nel nostro tempo, la peculiarità di “Reimagining Opera” (edito dalla casa discografica pugliese Digressione Music) risiede proprio nell'accostamento di elementi apparentemente distanti e incompatibili. Nuova linfa scorre in pagine celebri del repertorio lirico e madrigalistico, innervata da una sensibilità del tutto moderna. I rovelli del moro di Venezia del brano di apertura, ad esempio, vengono sottratti alle atmosfere corrusche e tempestose del dramma verdiano. Otello, trasformato in figura pensosa come un marmo di Rodin, pare osservare il tutto a posteriori, quando la febbre della gelosia è ormai estinta. Pagine usurate dall'eccessivo ascolto, come il pucciniano “nessun dorma”, appaiono trasfigurate da una creatività scarna e minimale, affidata al piano solo di un bravissimo Pietro Gallo. Forse il brano più “riconoscibile” è l'Intermezzo dalla Cavalleria Rusticana di Mascagni, del quale i musicisti hanno mantenuto la potente espressività. Per il resto il pensiero dei celebri Paisiello e Monteverdi, e dei meno frequentati Tommaso Giordani e Alessandro Parisotti, viene reinterpretato ma non tradito, grazie alla capacità di ripensare le diverse strutture musicali attualizzandole, scomponendole e ricomponendole come in uno stimolante gioco di specchi e di rimandi, fornendole di una veste del tutto nuova. Come nelle riscritture di Savinio, il passato viene trasfigurato e trasposto in un contesto altro, mantenendo però tutto il suo “carico di fato”. Le potenzialità del modello, lungi dall'essere svilite, si esaltano nel processo di trasformazione al quale vengono sottoposte (a tale proposito una menzione non secondaria meritano Mariano Paternoster e Gianluigi Giannatempo, di imprescindibile ausilio nelle trascrizioni). La sacralità dell'opera, e la sua mitigata magniloquenza, trovano echi di sorprendente intimismo, grazie anche al timbro soffuso del flicorno magistralmente governato da Doronzo e alle sue sonorità cameristiche. Valore aggiunto al progetto la presenza di Michel Godard, virtuoso del serpentone, strumento desueto utilizzato in particolare nel repertorio liturgico e prestato al jazz, dalla voce seducente, potente e incorporea al tempo stesso. L'ultima traccia è proprio frutto della sua creatività, un brano ispirato al duetto conclusivo della monteverdiana Incoronazione di Poppea, dove la sensualità estenuata assume riverberi sonori astratti e quasi immateriali. Ottima la qualità dell'incisione, in grado di veicolare l'intima sostanza di queste pagine. Applausi meritati.
Riccardo Cenci
11/1/2021
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