Barcellona
Un vero signore del canto lirico
Piotr Beczala si è guadagnato la stima del pubblico di Barcellona, ma non di tutti i critici, almeno finora. L'ha fatto come i grandi cantanti di ogni epoca sulla base del suo lavoro, della sua onestà, della sua dedizione alla musica e al canto, alla gioia e al dovere d'interpretare autori e pagine note o meno note, immortali, ricercando la perfezione con l'umiltà, la passione e l'orgoglio dell'artigiano – nel senso nobile – che ha la responsabilità del suo mestiere.
E il pubblico, molto più folto che nei concerti degli ultimi tempi, gli ha risposto del pari. Qualcuno si è manifestato perplesso per il fatto di aver finito in pianissimo Celeste Aida, come aveva scritto Verdi, ma se una cosa Beczala ha dimostrato, speriamo una volta per tutte, è che sono pochissimi i momenti dove cantare come una trombetta è segno di espressività. Con l'eleganza, la tecnica, il fiato inappuntabile, il fraseggio sorvegliato (che non è 'freddo' ma neanche 'caldo'), la dizione pulita e chiara, gli acutazzi quando sono chiamati in causa e non per il piacere di spacciarli, e soprattutto con le sfumature si rende servizio non solo a Verdi e Bizet ma anche a Puccini e altri autori della giovane scuola.
Finora al Liceu Beczala ha cantato una versione di concerto di Faust (il suo debutto 'in loco'), e due allestimenti di Werther e di Un ballo in maschera. Questa stagione ritornerà per la Luisa Miller. Ma era la prima volta da solo con l'orchestra, mentre al Palau de la Música ha fatto due concerti con il pianoforte, recensiti, come le due ultime opere, anche su questo sito.
Marc Piollet è un maestro che lavora volentieri con Beczala, che sa di dover essere al servizio di una star, per fortuna musicalissima, e ha fatto un buon lavoro con l'orchestra per assecondarlo durante le arie, e che i professori applaudissero con tanta cordialità il tenore è anche un fato da segnalarsi. Nella sinfonia della Miller che iniziava il programma ha fatto un Verdi piuttosto bombastico con qualche punta bandistica, ma non è l'unico a sbagliare strada e l'orchestra suonava bene. Meglio, ma non ancora a un grande livello (trattandosi per di più di un maestro di scuolafrancese), il preludio all'atto terzo della Carmen. La sorpresa è arrivata con il più che buono Carnevale romano di Berlioz, molto applaudito a ragione, e i delicati e decadentisti – e un po' fragili, va detto – Crisantemi pucciniani.
Il tenore si esibiva nel recitativo e aria della Miller ('Fede negar potessi.... Quando le sere al placido') senza la cabaletta, e 'Se quel guerrier io fossi... Celeste Aida' dove ha cesellato ogni frase. Poi è venuta la sua ormai celebre 'romanza del fiore' della Carmen dove il francese era un fattore di godimento in più. Finiva la prima parte con l'aria di Halka di Moniuszko, rarissima e un vero gioiello, che l'artista canterà prossimamente a Vienna (non conosco il polacco ma nella sua voce suonava come l'italiano). La seconda parte veniva dedicata al verismo con versioni antologiche di 'Recondita armonia', un 'L'anima stanca' davvero magistrale, un bellissimo e poetico 'Come un bel dì di maggio' dallo Chénier e un 'Nessun dorma' che personalmente mi ha fatto ritrovare una meravigliosa aria che ultimamente veniva chiamata 'Vincerò!´e che così diventava una parodia di se stessa.
Per rispondere alle ovazioni e alle richieste del pubblico che non lasciava il suo posto e balzava in piedi quando l'artista si presentava per ringraziare aggiungeva 'E lucevan le stelle' (Tosca la debutterà a febbraio a Vienna), un infuocato 'Amor ti vieta' dalla Fedora e l'Addio alla madre dalla Cavalleria rusticana, dove, come in altri momenti, bisognava rimontare a Carlo Bergonzi, Nicolai Gedda o addirittura a Jussi Björling per interpretazioni di pari o superiore calibro.
Jorge Binaghi
27/11/2018
La foto del servizio è di Antonio Bofill.
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