A ritmo di danza francese
Il trait d'union fra il tredicesimo e il quattordicesimo concerto dell'OSN, l'ultimo prima di far spazio agli appuntamenti di RAI Nuova Musica, annuale kermesse dedicata alla classica contemporanea (talvolta con prime esecuzioni assolute e commissioni della stessa OSN), è Ravel: se nelle date del 30 e 31 gennaio era stata proposta Tzigane, la rapsodia per violino e orchestra, il 6 e il 7 febbraio è stata la volta del Boléro, forse motivo di attrazione per una nutrita fetta di pubblico insolitamente giovane. Ma il ricco programma, tutto basato sul tema della danza d'ambientazione francese, ha potuto vantare altri pezzi di notevole interesse. A cominciare dalle Deux danses per arpa e archi di Debussy, scritte nel 1904 per celebrare l'invenzione dell'arpa “cromatica”. L'arpista Margherita Bassani, già co-solista insieme a Zimmermann in Tzigan, ha avuto il palco e il pubblico tutti per sé in una rara e ghiotta occasione per monopolizzare l'interesse su uno strumento tanto poetico e così poco protagonista. Debussy, poi, ci mette del suo ad aumentare vieppiù questa poesia, trovandosi perfettamente a suo agio coi timbri evanescenti e le sonorità sfumate. La prima delle due danze, la Danse sacrée, richiama da una parte il secondo tema del Preludio Op. 45 di Chopin (brano quanto mai proiettato in avanti, per l'epoca, col suo trascolorare di modulazioni continue), dall'altra la serenità composta delle Gymnopédies di Satie. Più animata la Danse profane, che accenna a movimenti più sensuali. Entrambe, nell'interpretazione della Bassani, hanno saputo far viaggiare lontano, rapendo l'ascoltatore con la magia delle sue nuance . Fuori programma ancora debussyano con la versione per arpa della Fille aux cheveux de lin, l'ottavo Prélude del Libro I.
Più frizzante e briosa la Sinfonietta di Poulenc, brano che, in pieno Novecento, guarda all'indietro, al classicismo della produzione di Haydn (come Prokof'ev nella sua Sinfonia classica). Siamo nel 1947: appena quattro anni dopo Ligeti avrebbe messo in cantiere un pezzo ardito come la Musica ricercata: e nonostante ciò, in questa composizione Poulenc ribadisce il melodismo, come un pittore che, in pieno periodo astratto, voglia riprendere il figurativo. Nella sua direzione, Rolphé ne esalta gli aspetti vezzosi, concentrandosi sulla leggiadria delle linee, soprattutto nel finale (dove un breve inciso degli archi, tornando più volte, evoca il rondò, con cui spesso si concludevano le sinfonie settecentesche) e trasvolando sulle dissonanze che la ancorano all'universo sonoro del Novecento. È certamente il brano meno noto della serata, al punto che, al termine del primo e del secondo movimento, il pubblico accenna all'applauso.
Anche l'intervallo diventa un momento interessante: appena al di fuori della sala da concerto, si svolge l'intervista a Margherita Bassani da parte di Michele Dall'Ongaro, dirigente responsabile della programmazione musicale di Rai-Radio3 (e compositore egli stesso), per le telecamere di Rai5. Il concerto era infatti in diretta televisiva: un canale di diffusione in più per l'OSN, la cui replica del giovedì già normalmente è trasmessa in diretta su Radio3.
La serata è proseguita con An American in Paris, poema sinfonico di George Gershwin che fonde le influenze americane con la rievocazione sonora dell'universo cittadino, col suo traffico e i suoi rumori: il tocco di genio dei quattro clacson da taxi in orchestra è impagabile e del tutto “americano” nella sperimentazione di suoni e strumenti inconsueti (sulla stessa lunghezza d'onda viaggerà Leroy Anderson quando, vent'anni dopo, scriverà The typewriter, dove l'orchestra accompagna una macchina per scrivere solista!). Rolphé decide di esaltare il ritmo incalzante delle percussioni, sottolineando la componente danzante del brano, mentre nella parte centrale del poema (dove il protagonista, ritrovato nel caos della metropoli francese un connazionale, si abbandona ai ricordi della patria lontana) addolcisce il suono generale dell'orchestra, degli ottoni (compreso quello da sempre squillante delle trombe con sordina), dando un che di languoroso a tutta questa sezione. Nonostante le parti d'insieme tendano talvolta ad una resa sonora confusa, dalle linee non sempre perfettamente distinguibili, l'esecuzione termina strappando al pubblico un applauso più convinto rispetto a quello suscitato dalla prima parte del concerto. Gran finale della serata è stato il già citato Boléro di Ravel. Quando, nel 2012, il Béjart Ballet Lausanne portò a Torino, sul palco del Teatro Regio, la coreografia originale di Maurice Béjart, datata 1961, assistemmo alla danza di un unico ballerino, su una pedana rialzata, circondato dal resto del corpo di ballo, quasi immobile: l'idea di materializzare la Melodia (il ballerino solista) sostenuta dal Ritmo (il resto del corpo di ballo) rinuncia a qualsiasi facile allusione spagnoleggiante per tradurre visivamente il brano raveliano utilizzando solo i suoi tratti essenziali: una melodia costituita da due sole frasi musicali alternate (peraltro molto simili tra loro) e un ritmo sempre uguale di tamburo per tutta la durata del pezzo. A farla da padrone, come si sa, è l'orchestrazione, che via via cresce, gonfiandosi fino a deflagrare su se stessa (procedimento analogo viene adottato da Ravel in un altro brano, La Valse). È forse questa la chiave per apprezzare il Boléro nel suo spirito più autentico. La direzione di Rolphé, in un tempo piuttosto moderato, secondo quanto indicato in partitura (ma chissà se Ravel sarebbe stato d'accordo? L'episodio della controversa esecuzione di Toscanini, che lo diresse due volte più velocemente con l'autore presente tra il pubblico, ha fatto epoca), è partita da un flauto in pianissimo al limite dell'udibile, ed ha proceduto con un andamento ipnotico, catturante, diremmo quasi psicotico, fino alla travolgente orgia sonora del finale; molto apprezzata è stata l'impercettibilità del lento e inesorabile crescendo, che ha colto tutti di sorpresa quando, all'ingresso trionfale dei violini, ci si è resi conto di quanto il volume sonoro fosse già aumentato. Al termine, il pubblico ha risposto tributando una vera e propria ovazione. Dopo diverse richieste di bis, Rolphé si è voltato verso il pubblico e in un ottimo italiano, ha detto: «Solo il finale, però!»: ha dato quindi l'attacco all'orchestra dal numero [16] fino alla conclusione. Nuova esplosione di applausi, che ha gratificato visibilmente l'orchestra. Il Boléro è pur sempre il Boléro.
Christian Speranza
23/2/2014
Le foto del servizio sono di Michele Rutigliano.
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