RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

9/4/2016

 

 


 

Russia – Germania 3 a 3

 

Per la terza volta consecutiva la stagione concertistica della Rai propone l'accostamento di brani tedeschi e russi. Beethoven, Mendelssohn e Šostakovic al primo concerto; Beethoven e Cajkovskij al secondo; di nuovo Beethoven, con la Sinfonia n°6 in fa maggiore Op.68 “Pastorale”, e questa volta Sergej Prokof'ev con la sua Sinfonia n°3 in do minore Op.44.

Nata assieme alla Quinta (1807-1808), di cui rappresenta il contraltare lirico, la “Pastorale” è fin troppo famosa per i suoi richiami al mondo bucolico, «Più espressione del sentimento che pittura», con i sottotitoli ai singoli movimenti apposti dallo stesso Beethoven (Lieto ridestarsi di sentimenti all'arrivo in campagna – Scena presso il ruscello – Allegra riunione di contadini – Temporale – Canto di ringraziamento per il ritorno del bel tempo); e, se da un lato ha contribuito a formare l'immagine un po' oleografica del compositore in atto di passeggiare per i colli attorno a Vienna, investito da improvvise ondate di creatività, dall'altro ha spianato la strada a tutta la “musica a programma” del Romanticismo, dalla Symphonie fantastique di Berlioz (1830) in avanti.

Al suo terzo concerto in tre settimane, James Conlon guida l'Orchestra Sinfonica Nazionale (OSN), di cui è direttore principale, in un'interpretazione per certi versi controversa. Le agogiche seguono una tradizione ormai consolidata, ma con la tendenza a un generale rallentamento, soprattutto nel primo (Lieto ridestarsi...) e quarto movimento (Temporale), che non giova alla freschezza e alla spontaneità tematica dell'uno e all'irruenza dell'altro. Di positivo c'è che lo spirito di cui si impregna questa Sesta è scevro da inutili sentimentalismi: una lettura composta, senza eccessi, sostenuta a dovere. Ma si tratta di un'arma a doppio taglio, questa compostezza, applicata a una composizione che prende le mosse dal Classicismo viennese e ne fa qualcos'altro, non ancora creatura dilacerata da spasimi romantici, ma non più dialogo educato e spiritoso alla Haydn. E, proprio per sottolineare questo lato, un po' più di verve non sarebbe guastata. Tecnicamente valida, l'esecuzione non riesce a trasportare e a convincere fino in fondo, complice il fatto che in molti passaggi la partitura è sottoposta a un'esecuzione che si potrebbe definire analitica, divisionista. Con grande trasparenza vengono evidenziate alcune sezioni di controcanto dell'orchestra, come il percorso in sestine discendenti dei violini secondi nell'Andante molto mosso (Scena presso il ruscello), che dovrebbero simboleggiare lo scorrere dell'acqua. Ma proprio l'esaltazione di queste sezioni, lasciate scoperte quasi quanto la melodia principale, sortiscono un effetto di poca coesione generale, inficiando l'amalgama plastico del timbro complessivo. Di miglior sorte gode il finale, più sentito, interpretato con maggior sentimento, forse il tempo meglio diretto della sinfonia.

Dalla levità, dall'aurea grazia della “Pastorale” si passa alla violenza espressiva della Terza di Prokof'ev. Beethoven avrebbe apprezzato la tonalità di do minore per inscenare il dramma di questa sinfonia. Una sinfonia nata quasi per caso nel 1928, quando il compositore recupera le musiche scritte per L'angelo di fuoco e le converte, sviluppandole, in forma sinfonica, dopo che nel 1926 sfuma il progetto di portare l'opera sulle scene di Berlino.

L'uso massiccio di un'orchestra spesso dissonante e pluristratificata impedisce qui a Conlon di realizzare un'esecuzione chiara e pulita. Impresa peraltro difficilissima, data la complessità della e l'alto grado di sperimentalismo della pagina. Nel Moderato iniziale si avverte un'impressione di confusione, non evidenziandosi adeguatamente una linea melodica principale da seguire, soprattutto nello sviluppo a carattere contrappuntistico. Quest'impressione diminuisce con l'Andante successivo, dove i piani sonori vengono ben separati e il discorso musicale pare meglio organizzato, grazie anche a un alleggerimento del tessuto orchestrale. Di grande efficacia i glissandi dei violini dell'Allegro agitato che segue, in grado di sibilare con suono diafano, quasi fossero la rappresentazione musicale di un brivido. Si torna invece a percepire il senso di confusione iniziale, di appiattimento di tutte le sezioni, nel quarto e ultimo movimento. Peraltro non si può neanche colpevolizzare troppo il direttore o l'orchestra (la quale, va detto, mantiene uno standard elevato di prestazione), dato che si trovano a dover eseguire una marcia funebre elefantiaca, sovraccarica, con nessun tema ben definito e con un uso più timbrico, più coloristico che melodico degli strumenti.

Christian Speranza

30/10/2019

La foto del servizio è di PiuLuce.