RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Śdipus Rex

 

Prokof'ev e Stravinskij: entrambi russi, entrambi dello stesso periodo, entrambi alle prese con la rievocazione dello stile classico in stile moderno: difficilmente si sarebbe potuto scegliere in modo più coerente, gradevole e originale abbinando la Sinfonia Classica del primo all'Śdipus Rex del secondo. È accaduto per il diciannovesimo concerto dell'Orchestra Sinfonica Nazionale (OSN), giovedì 7 (di cui si riferisce) e venerdì 8 aprile 2016 all'Auditorium Arturo Toscanini di Torino, in replica domenica 10 al Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena e lunedì 11 al Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara.

Sul podio un Juraj Valcuha in piena forma, la cui intesa con la “sua” OSN, di cui è direttore principale dal 2009, è ormai fuori discussione. Ed è un peccato che tale intesa, raggiunta in anni di appassionante collaborazione, che ha più volte regalato emozioni a fior di pelle, debba perdersi: si tratta infatti dell'ultimo concerto di Valcuha. Dall'anno prossimo il ruolo di direttore principale passerà a James Conlon, in passato già ospite dell'OSN a diverse riprese.

Quasi un aperitivo prima del piatto forte, ecco la Sinfonia n.1 in re maggiore Op. 25 di Prokof'ev, detta “Sinfonia Classica” dall'autore stesso. Prima “vera” sinfonia di Prokof'ev, dopo le giovanili Sinfonia in mi minore e Sinfonietta in la maggiore Op. 5, la “Classica” nacque in un ritiro di campagna nell'estate del 1917 vicino a San Pietroburgo. Rinunciando volontariamente a scrivere musica con un pianoforte sottomano, per evitare di imprimere un taglio troppo pianistico alle idee, Prokof'ev intese comporre un lavoro che guardasse direttamente il modello di “papà” Haydn. Ne nacque una sinfonia che, nella sua concisione (un quarto d'ora appena) condensa i quattro movimenti tipici di una sinfonia del Classicismo viennese, dalla sintassi regolare e senza sorprese: un Allegro in forma-sonata (senza ripetizione dell'esposizione), un Larghetto tripartito, un movimento in forma di danza (una Gavotta anziché il consueto Minuetto) e un Molto vivace conclusivo.

Valcuha adotta velocità convenzionali, e la condotta moderata, dall'empito contenuto, consente di godere di tutta la freschezza della partitura: brio nei movimenti iniziale e finale, equilibrio in quelli centrali, con il Larghetto letto quasi come un Andante moderato, impostazione sostenuta che potrebbe applicarsi al Larghetto della Seconda Sinfonia di Beethoven (che ha ben altra profondità e portata). Il Molto vivace, pur disinvolto, non abbandona una certa compostezza, e procede alternando con sapienza graziosità e frenesia. Come già rilevato in altri concerti, però, i tratti distintivi di Valcuha sono la trasparenza nel tessuto orchestrale e i risalti dosati con intelligenza: nel primo movimento, il particolare rilievo dato al fagotto dà un tocco di spiritosità che non guasta in un lavoro ispirato al bonario Haydn, così come la scansione ben marcata del doppio timpano nel terzo. E non sono che esempi…

Secondo Gianfranco Vinay, il Neoclassicismo in musica (la ripresa di forme e stili tipici del Barocco e del Classicismo negli anni Venti e Trenta del Novecento) ha seguito cinque modalità espressive: e, se la “Sinfonia Classica” di Prokof'ev incarna di queste cinque il ricalco fedele di un modello classico, l'Śdipus Rex di Stravinskij, opera-oratorio del 1927 su testo di Jean Cocteau (tradotto in latino dal cardinale Jean Daniélou), è l'esempio del recupero di modelli settecenteschi fusi con la sensibilità novecentesca in un sincretismo di antico e moderno. “Opera” perché è una vicenda raccontata in musica, che procede per rigidi numeri chiusi –struttura vicina all'opera seria (l'argomento di ascendenza classica, poi, dall'omonima tragedia di Sofocle, è perfettamente in linea con l'opera seria, che prediligeva soggetti storici o mitologici) –; “oratorio” per lo spirito statico e distaccato dello schema narrativo, che si avvale, qui, di una voce recitante quale connettore dei vari episodi del mito, ridotto alle scene finali, concentrate sullo scoprimento della verità incestuosa di Edipo. La scelta della lingua latina («materia non morta, ma pietrificata, diventata monumentale e immunizzata contro ogni trivializzazione», secondo Stravinskij) apporta alla sonorità della parola musicata un'aura di sacralità, di immobilità, che inconsciamente rimanda a tutta la tradizione della musica cantata in latino, spesso liturgica, dal Gregoriano alle varie Messe (« un linguaggio convenzionale, quasi rituale, di un livello così alto che si impone di per se stesso. Non ci si sente più dominati dalla frase, dalla parola nel suo stretto significato [...] Così il testo diventa per il compositore una materia puramente fonetica. Diventa possibile scomporlo a volontà e accentrare tutta l'attenzione sull'elemento originario che lo compone, cioè la sillaba »: ancora Stravinskij). Data la natura della composizione, l'esecuzione in forma di concerto è quella ideale (sebbene resti memorabile, anche grazie alle enormi porte scenografiche di Arnaldo Pomodoro, la messinscena del 1988 dal duomo Siena, diretta da Rozdestvenskij).

Voce recitante d'eccezione, Toni Servillo, attore e regista di chiara fama, vincitore di diversi premi cinematografici. La sua dizione chiara, esente da coinvolgimenti emotivi, e in questo aderente all'apparente freddezza dello stile oratoriale (nelle intenzioni di Stravinskij i cantanti avrebbero dovuto indossare delle maschere per non palesare le loro espressioni al pubblico, astrattizzando il più possibile la parola cantata), ha permesso di calarsi nel dramma nello spirito più fedele possibile alle intenzioni dell'autore.

Prestazione più che buona per tutti i solisti. Brenden Gunnell, tenore di eterogeneo repertorio, esibisce, nella parte di Edipo, timbro chiaro e buon volume, che gli permette di tratteggiare con sicurezza il suo personaggio, evidenziandone la pavidità nell'affrontare la verità che man mano si disvela. La Giocasta di Sonia Ganassi, mezzosoprano, è donna sicura e agguerrita, che, nella grande aria del secondo atto, è capace di commiserazione, e rimprovera a Tiresia ed Edipo «di altercare in una città malata» utilizzando, più che il “furore” della voce, la potenza e l'evidenza delle parole. Ammantato di gravitas è invece il Tiresia di Alfred Muff, baritono, gran voce e sicuramente grande resistenza, a giudicare dai ruoli wagneriani ricoperti in passato (Wotan e Gurnemanz), solista che più di tutti, forse, contravvenendo al dettame stravinskijano di impersonalità, si cala nel personaggio, caricandolo di drammaticità. Matteo Mezzaro, tenore, è il Pastore, voce meno incisiva delle altre, che sarebbe da riascoltare in ruoli più lunghi. Valida la prova di Marko Mimica, basso-baritono, chiamato al duplice ruolo di Creonte e del Messaggero, che riesce nell'impresa di distinguersi, in un cast formato quasi esclusivamente di voci maschili, grazie ad una voce ben modulata, un'emissione senza esitazioni e una buona sillabazione. A questo proposito è da notare che in vari passaggi, alla scrittura arcaizzante con la K in luogo della C per indicare l'occlusiva velare sorda dinanzi a E ed I, è corrisposta una altrettanto pronuncia arcaizzante, con abolizione della C e della G dolci (reghem in un luogo di regem). Questo vezzo, che non ha validazioni storiche accertate, non è però stato rispettato da tutti i cantanti, e ciò ha contribuito in negativo all'omogeneità dell'esecuzione. Sarebbe stato preferibile un rifiuto o un'accettazione totale di questa pronuncia o di quella più moderna, e non un uso discontinuo ora di una, ora dell'altra, in nome di una coerenza filologica.

Fondamentale in questo lavoro è la presenza di un coro all'altezza del compito che deve assolvere: e il Coro Filarmonico di Brno lo è pienamente. Fondato nel 1990 da Petr Fiala e ancora da lui diretto, si distingue per un amalgama sonoro denso e pastoso di tenori e bassi (da sempre le voci maschili, e quelle gravi in particolare, sono specialità dei russi: qui un coro maschile misto, nella Tredicesima Sinfonia Op. 113 di Šostakovic un basso solista e un coro di bassi…), per una potenza sonora notevole (data anche dalla stazza media dei cantanti…) e per una drammaticità che, pur insita nella scrittura di Stravinskij, viene messa ancor più in risalto da queste voci di prima grandezza.

Valcuha, di cui sarebbe ridondante, benché giusto, sottolineare ulteriormente i meriti, permette alla fabula di prendere vita in modo graduale, cercando, per quanto possibile, di dirigere in modo asettico. Le voci sono quasi sempre ben evidenziate, tranne nei primi interventi di Creonte al primo atto, dove la voce di Mimica risulta quasi coperta dall'orchestra, mentre il duetto Edipo-Giocasta del secondo atto viene condotto fondendo le voci agli strumenti, trattando anzi i personaggi da veri strumenti, equiparandone le dinamiche. L'orchestra si dimostra come sempre impeccabile, duttile nel seguire le indicazioni direttoriali; un eccesso di pignoleria potrebbe solo evidenziare un lieve calo di corposità nel suono delle trombe al momento degli squilli che annunciano lo scioglimento del mistero di Edipo.

Al termine dell'esecuzione, ripetuti richiami del pubblico sanciscono un successo che non è solo formale: sicuramente una dimostrazione di affetto e di calore per un direttore che, congedandosi, ha fatto risuonare ancora una volta grandi emozioni il petto del suo pubblico.

Christian Speranza

16/4/2016