RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Un concerto… leggendario

Filo conduttore del secondo concerto dell'Orchestra Sinfonica della Rai (OSN), 26 e 27 ottobre 2017, è stato il tema della leggenda popolare in musica. All'Auditorium Arturo Toscanini di Torino sono risuonate le note dell'Arcolaio d'oro Op. 109, poema sinfonico di Antonín Dvorák (1896), e del Klagende Lied (Canto del lamento e dell'accusa), cantata per soli, coro e orchestra di Gustav Mahler (1878).

La prima composizione si rifà a J. K. Erben (1811-1870), filologo e folklorista ceco che, nelle sue ballate, raccoglie i racconti della sua terra dando loro forma poetica. Un re, capitato a casa della bella Dornicka dopo un'estenuante battuta di caccia, ne subisce il fascino e se ne innamora; ma la di lei matrigna, invidiosa, cerca di persuaderlo a sposare la figlia naturale. Fa a pezzi il corpo di Dornicka e porta all'altare sua figlia, sfruttando la grande somiglianza delle due ragazze. Un mago indovino trova nella foresta il corpo di Dornicka privo di mani, piedi e occhi, asportati dalla matrigna. Propone così un baratto: le parti mancanti in cambio di una serie di preziosi oggetti d'oro, tra cui un arcolaio. Riesce così a ricomporre a ridare vita a Dornicka. Di ritorno dalla guerra, il re chiede alla sua sposa di filare qualcosa sull'arcolaio d'oro, ma ecco che dall'arcolaio una voce lamentosa svela l'inganno. Il re ordina di far sbranare madre e figlia dai lupi e può così sposare la sua amata Dornicka.

Non meno cupa è la storia messa in musica da Mahler, ottenuta fondendo due favole dei fratelli Grimm, Jorinde und Joringel e Der singende Knochen (L'osso che canta). Due fratelli, uno buono e uno cattivo, innamorati di un'altezzosa regina, ambiscono alla sua mano; ma la regina impone una prova da superare: si sarebbe concessa al primo che le avrebbe portato dalla foresta un rarissimo fiore rosso. I due fratelli si mettono in cerca. Il fratello buono, più fortunato, trova quasi subito il fiore e, contento, si mette a dormire sotto un albero, sognando la regina. Il fratello cattivo, dopo una ricerca infruttuosa, nota, tornando, il fratello buono addormentato col fiore accanto: lo uccide nel sonno e gli sottrae il fiore, per poi presentarsi alla regina e sposarla. Anni dopo, un menestrello, passando sotto l'albero testimone del fratricidio, vede un osso sporgere dalla terra e lo intaglia per farne un flauto: ed ecco dal flauto provenire il canto del lamento e dell'accusa (in tedesco Klagend ha doppia valenza di pianto, lamento, ma anche di accusa – espressa in lamento): la voce del fratello buono. Il menestrello irrompe nel castello della regina durante un banchetto e fa ascoltare agli astanti, regina e fratello cattivo compresi, la voce del flauto. La regina cade a terra venendo meno, le mura del castello crollano e i cavalieri fuggono via.

Per Dvorák si tratta di un ritorno alle origini, la sua amata Boemia ritrovata nel folklore dopo l'esperienza d'oltreoceano che l'aveva visto direttore del Conservatorio di New York, esperienza che aveva arricchito il suo catalogo, tra l'altro, della Nona Sinfonia Op. 95 (“Dal Nuovo Mondo”), del Quartetto Op. 96 (“Americano”), composte sotto l'influsso dalle musiche locali, ma anche del Concerto per violoncello Op. 104, nel quale non resiste all'impulso di inserire melodie popolari boeme (come per Bartók e Rachmaninov, altri due famosi esuli ricetti negli USA, che non rinunciano al “loro” modo di fare musica, anche distanti dalla patria). Tornato a casa, infatti, nascono, oltre all'Arcolaio d'oro, altri tre poemi sinfonici, tutti su ballate di Erben e tutti tra il 1896 e il 1897, legati da un unico arco ispirativo: Vodník (Lo spirito delle acque o Il folletto delle acque) Op. 107, La strega di mezzogiorno Op. 108 e La colomba selvatica Op. 110 (tenuto a battesimo nientemeno che da Janácek).

Per Mahler si tratta invece del primo approccio alla composizione di ampio respiro, ancora prima dei Gesellen Lieder e del Titan; ma la magistrale tecnica orchestrale (con passaggi che fanno presagire direttamente la Seconda Sinfonia), l'aspirazione al grandioso (pur non ricorrendo alle orchestre smisurate di cui si sarebbe servito più avanti) e la fascinazione per un testo poetico fantastico e popolare (che si sarebbe tradotta successivamente nei Wunderhornlieder e nel Canto della terra) sono già tratti del Mahler maturo e prefigurazioni in nuce del futuro compositore. Sotto l'influsso di Wagner, il testo della cantata è autoprodotto, e si nota un trattamento personale (in questo non prettamente wagneriano) della tecnica del Leitmotiv. Alla luce delle successive sinfonie, Mahler preferì tenere in un cassetto questo lavoro, delle quali è in un certo qual modo quasi un cartone preparatorio (ma in sé del tutto finito e compiuto): e quando decise di presentarlo, nel 1901 (l'epoca della Quinta, per intenderci), lo presentò decurtato di tutta la prima parte (la cantata è in tre parti, dai titoli: Waldmärchen – Fiaba della foresta; Der Spielmann – Il menestrello ; Hochzeitsstück – Scena di nozze).

Sul podio dell'OSN il direttore principale James Conlon, che (in riferimento alla replica del 27/10) mostra quasi due atteggiamenti contrastanti per i due autori: un controllo assoluto dello slancio musicale per Dvorák, una maggiore apertura lirica per Mahler. A fronte di un'orchestra in piena forma, con archi perfettamente sincroni e pregevoli interventi solistici ad opera di primo violino, oboe, clarinetto, flauto e ottavino, e passaggi corali degli ottoni, stupendamente eseguiti, risulta non così chiaro, in Dvorák, il motivo di questa quasi totale rinuncia a qualsivoglia apertura cantabile, a qualsivoglia respiro della partitura (Mahler dirigendo ripeteva spesso «Respirate!»; Toscanini, più all'italiana: «Cantate!»), a parte nel finale, dove gli accenti squillanti, a mo' di fanfara, nel trattamento un poco incline alla faciloneria bandistica, riscattano in parte l'appiattimento della sezione centrale.

Diverso atteggiamento espressivo, si diceva, riservato alla cantata di Mahler. Ad interpretarla sono stati chiamati Aga Mikolaj (soprano), Yulia Matochkina (contralto), Brenden Gunnell (tenore) e Thomas Tatzl (baritono), supportati dal Coro Filarmonico Ceco di Brno diretto da Petr Fiala (Radio Brno fu tra l'altro la prima a trasmettere, nel 1970, la Waldmärchen: collegamenti su collegamenti!). Compatto, duttile, in grado di modularsi, interpretando di volta in volta gli appelli accorati alla regina, al menestrello, ai due fratelli, e commentando le azioni dei personaggi, talora con uno spirito quasi liturgico nei passaggi omofonici a corale, dalle reminiscenze vagamente bachiane, il Coro Filarmonico Ceco ha suscitato grandi emozioni. I solisti, invece, sovrastati dall'orchestra specialmente nei passaggi più roboanti, hanno fornito esiti altalenanti. Ad Aga Mikolaj può imputarsi una non completa riuscita degli acuti, mentre pare a suo agio nel registro medio-grave. Yulia Matochkina e Thomas Tatzl risultano i migliori del quartetto vocale, affrontando le rispettive parti con disinvoltura e riuscendo ad imprimere un afflato quasi operistico ad una composizione che con l'opera vera e propria ha ben poco da spartire (fa specie pensare che un compositore conosciuto in vita come uno dei migliori direttori d'opera della sua epoca non abbia composto neanche un'opera…). Meno partecipata l'interpretazione di Brenden Gunnell, come gli altri già ospite precedentemente dell'OSN (Śdipus Rex di Stravinskij tra le recenti collaborazioni), che presenta a tratti lievi cali e note non sempre legate come si desidererebbe.

Christian Speranza

4/11/2017

Le foto del servizio sono di Più Luce.