Montepulciano:
un'utopia che non si può fermare
Hans Werner Henze fonda il Cantiere Internazionale d'Arte nel 1976, quasi come conseguenza di una progressiva presa di coscienza politica e di una sensibilità artistica del tutto peculiare. L'Italia rappresenta ai suoi occhi un luogo nel quale dimenticare un passato scomodo, legato all'essere tedesco in quel determinato momento storico. Da questo punto di vista il nostro Paese, e in particolare Montepulciano, divengono un territorio d'elezione nel quale dar vita a un progetto utopico ma non effimero, strettamente connesso alle persone e alla società. Un legame forte che non è più venuto meno se, a distanza di così tanti anni e dopo la scomparsa del maestro, ritroviamo lo spirito del Cantiere intatto e sorprendentemente vivo. La nuova direzione artistica di Mauro Montalbetti ha dato impulso a nuove commissioni, come Volume Pi di Elvira Muratore, di grande fascinazione sonora, e prime esecuzioni, come gli Otto esercizi su Orlando Gibbons per Trio d'archi di Luca Benatti, caratterizzato da una attenta ricerca sulle possibilità espressive degli strumenti. Il tutto impaginato nell'ambito di una serata dedicata a compositori toscani, dal Settecento ad oggi, che ha visto il Trio Hegel impegnato anche in opere di Boccherini, Cambini e Cherubini.
Una nuova commissione era anche Else del compositore Federico Gardella, sul libretto che Cecilia Ligorio ha tratto dalla celebre novella di Arthur Schnitzler. Spettacolo tipicamente “cantieristico”, di artigianale sapienza e organicità. Lo spettatore entra nel progressivo sfaldarsi della coscienza di Else, costretta a vendersi per riparare a un debito paterno che manderebbe in rovina la famiglia. La solitudine è la sua cifra peculiare. Gli altri personaggi, prima fra tutti la madre, la spingono senza rimorsi nel baratro. La regia della Ligorio veicola questo progressivo precipitare nell'oscurità e nella paura. La nudità alla quale Else viene costretta è la nudità di una morta. La sua vita interiore viene esposta in maniera oscena, come un cadavere. Arduo fornire adeguata veste sonora a una vicenda così scarna eppure tanto profonda e complessa. Gardella ci prova con esiti alterni, senza riuscire sempre a penetrare gli abissi psicologici scoperchiati con magistrale sapienza dallo scrittore. Buona l'esecuzione musicale dell'Ensemble Risognanze diretto da Tito Ceccherini. Nel cast una menzione merita Maria Eleonora Caminada, per la presenza scenica e la drammatica emotività.
Di alto livello il concerto in Piazza Grande diretto da Markus Stenz alla guida dell'Orchestra della Toscana. Jeu de cartes di Stravinsky è reso con grande dinamismo e con esuberante fantasia, senza sacrificare alcun registro in una scrittura sempre in bilico fra l'ironico e il monumentale. Rossini (evocato e trasfigurato tramite una scoperta citazione), Johann Strauss, Ravel e altri ancora sembrano balenare nel variopinto teatro allestito dal compositore russo. Nelle mani di Stenz l'orchestra si abbandona al puro gioco, caratteristica saliente di una partitura di ludica raffinatezza. Con la Brahms Fantasie Detlev Glanert si mostra degno erede della tradizione sinfonica mitteleuropea. Allusiva della maniera brahmsiana, la partitura evoca un mondo tramontato eppure presente mediante una scrittura che sembra procedere per accumulazione, fino al climax che precede la conclusione. Che Stenz provenga da questo mondo è evidente nell'immediata affinità riscontrabile con la musica di Glanert. Conclusione quasi obbligata con un'opera di Brahms, la prima sinfonia, risolta con eloquente drammaticità. Stenz dirige a mani nude e senza partitura, a dimostrare che questo è il suo terreno privilegiato. La sintonia con l'orchestra è totale, la naturalezza del fraseggio sorprendente. Ne scaturisce un'esecuzione vibrante e comunicativa, perfetta nelle articolazioni strumentali, salutata dal pubblico con una vera ovazione.
Riccardo Cenci
3/8/2021
La foto del servizio è di Dario Pichini Opera.
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