Romeo Q Giulietta
amore e morte in ambiente catanese
L'infelice storia di Romeo e Giulietta ha sollecitato fin dal suo apparire la fantasia, la creatività e l'estro di scrittori, poeti, musicisti, coreografi e registi. Perfino Il nostro grandissimo compositore Vincenzo Bellini dedicò alla dolorosa vicenda degli innamorati veronesi il melodramma Capuleti e Montecchi, una splendida partitura che si avvalse di un valido ed efficace testo redatto dal celebre poeta e librettista Felice Romani.
Venerdì 8 febbraio (con repliche il 9 e il 10) al Centro Zo di Catania è stata rappresentata la tragedia Romeo Q Giulietta (probabilmente Romeo ccù Giulietta) nella traslazione in dialetto siciliano di Alessio Patti e per la regia e adattamento di Francesca Ferro. E ribadiamo in dialetto siciliano perché, a differenza di quanto affermato nelle note di sala dello spettacolo in questione, una lingua siciliana, questo lo sa ogni glottologo, purtroppo non esiste, ma esistono le varie parlate: palermitana, catanese, agrigentina ecc.
Dobbiamo subito dire con franchezza che la versione in dialetto avrebbe avuto sicuramente più incisività e pregnanza se Patti non avesse semplicemente tradotto il testo dall'originale in vernacolo, ma lo avesse anche adattato nel linguaggio all'ambientazione moderna e tutta catanese. Di fatto tutti i personaggi mantengono i loro titoli aristocratici, i loro nomi e il loro argomentare nobile, mutano solo i costumi e l'ambientazione, che vengono a loro volta ridimensionati e fissati in una quotidianità popolare che di fatto contrasta con un linguaggio che nella sostanza rimane aulico, solenne e altisonante.
La scena della festa in casa Capuleti, svoltasi al ritmo di Rap, tanto per fare un esempio, sarebbe andata benissimo se anche il linguaggio usato fosse stato altrettanto semplice ed essenziale. La regia di Francesca Ferro, fra l'altro ben realizzata perché è riuscita a dare omogeneità e coerenza a tutto lo spettacolo, sarebbe stata certo più esaltante e più cogente se fosse riuscita ad accentuare l'aspetto popolare, proposto soltanto nell'ambientazione visiva, di due famiglie che vivono in uno dei tanti quartieri degradati della città etnea. Più che evidenziare la valenza delinquenziale o mafiosa, sarebbe stato opportuno accentuare forse l'aspetto di disagio sociale e culturale che affligge il proletariato urbano. Il resto ci è parso abbastanza congruente, anche perché le parti “tagliate” erano proprio quelle più dense di meditazioni esistenziali tipiche di un testo barocco shakespeariano e pertanto meno pertinenti all'azione scenica.
La vulcanica ed estrosa Guia Jelo ha partecipato allo spettacolo vestendo i panni di Escalo (Principe di Verona) il quale tenta disperatamente di fare da pacificatore e mediatore nella rivalità fra le due famiglie per riportare la pace nella sua città. Significative e valide anche le interpretazioni fornite da Giovanni Arezzo, Francesco M. Attardi, Verdiana Barbagallo, Giuseppe Cosentino, Fabio Costanzo, Domenico Gennaro, Mansour Gueye, Loredana Marino, Giovanni Maugeri, Mario Opinato, Maria Chiara Pappalardo, Pasquale Platania, Renny Zapato.
Le musiche di Massimiliano Pace sono riuscite molto bene a sottolineare i vari registri della passione, dell'emozione, del sentimento e dell'amore che si sprigionano dall'intera tragedia. I costumi moderni ideati da Giusi Gizzo legavano in modo congruente e pertinente con l'ambientazione popolare, informale e disinvolta. Il folto pubblico intervenuto alla serata ha tributato a tutto il cast calorosi applausi ed espansive attestazioni di consenso e gradimento. Lo spettacolo è stato prodotto dal Teatro Mobile di Catania.
Giovanni Pasqualino
10/2/2019
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