Carmen
al Teatro dell'Opera di Firenze
Recita domenicale all'insegna dell'esaurito al Teatro dell'Opera di Firenze per la quinta rappresentazione di Carmen di Georges Bizet, in un nuovo allestimento del Teatro del Maggio con la regia di Leo Muscato. Fin qui nulla di strano, il titolo pare sia il più rappresentato nel teatro lirico, e a Firenze mancava da due lustri. Tuttavia, questa è stata la Carmen delle polemiche, poiché come annunciato il finale è stato capovolto e alla fine sarà Carmen a sparare a don Don José. Un forte gesto indomito contro un uomo che non amava più e che l'avrebbe uccisa perché non più sua. Inutile riportare parti delle polemiche, se n'è scritto e parlato forse eccessivamente. L'idea sembra sia del sovrintendente Cristiano Chiarot, persona di squisita gentilezza e garbato caratterialmente (conosciuto personalmente quando ancora era a capo dell'ufficio stampa a Venezia), per non valorizzare, o intentare, il fenomeno del femminicidio che ultimamente in forma drammatica e sempre più di frequente occupa posto nella cronaca nera italiana. Tale tesi ha trovato nel regista Leo Muscato altrettanta complicità, volendo rilevare come da lui stesso affermato un nuovo modo di vedere Carmen come donna ai giorni nostri. La questione è molto complessa, poiché il regista ha voluto ambientare l'opera alla fine degli anni '70 del secolo scorso, in una Spagna appena uscita dal franchismo ma non ancora fulcro economico, sociale, culturale e turistico che negli anni successivi sarebbe diventata. La scelta è realizzata considerando che gli spettatori parigini del 1875 (prima assoluta dell'opera all'Opera Comique) assistettero a una vicenda, tratta da una novella di Prosper Mérimée, ambientata in una Spagna di qualche decennio precedente. La produzione si sviluppa in un campo di nomadi (oggi forse “profughi”) dopo una probabile azione di sgombero e puntualmente presidiato da gendarmi che non hanno un comportamento volutamente violento nei confronti dei nomadi. Il campo è delimitato da una barriera di ferro e filo spinato con la città reale, una Siviglia dei sobborghi e irriconoscibile. Carmen è la consueta sigaraia che lavora nella manifattura di tabacchi e la sera torna nel campo, dove sono collocate delle roulotte, tipiche abitazioni dei nomadi. Escamillo è uno dei più famosi toreri del momento, ma proviene da quella gente errante e ogni tanto ritorna a trovarli. Le scene di Andrea Belli assieme ai costumi di Margherita Baldoni rendono con efficacia questa impostazione di spettacolo, ma non c'è nulla di riconducibile alla vicenda narrata da Mérimée, Niente taverna, niente iconografie di una Siviglia reale, niente montagne ma solo contrabbando illegale di sigarette nel III atto. Soluzione efficace e nuova è la sfilata dei toreri per la corrida nel IV atto che è seguita dagli abitanti del campo in televisione. Per il resto molto dejà vu, se si pensa a una recente produzione della stessa opera proprio alla Fenice, ma più originale e molto più efficace. Quello che è mancato a questo spettacolo è l'eros, totalmente e probabilmente escluso, e sostituito dalla violenza, dal potere dell'uomo sulla donna. Questa concezione ha contribuito anche nella resa musicale soprattutto nelle scene di seduzione della protagonista e nel grande momento dell'Habanera.
Il finale “capovolto” è senza ombra di dubbio una scelta sbagliata e fuori luogo. I due protagonisti restano lì a guardarsi, uno colpito a morte canta le ultime frasi e la protagonista guarda come incredula quanto ha fatto. In tale ottica drammaturgica dovremo pertanto cambiare parecchi finali, tanto per citarne uno: Otello. L'opera è tratta da una novella dell'Ottocento e trovare un confronto sociale con l'odierno è fortemente sbagliato se non fuorviante. Carmen diventa eroina anche per il suo sacrificio, e passa alla storia come icona di femminile sia della letteratura sia del teatro d'opera. E poi non è frase sovente utilizzata “il rispetto dell'autore?”, qui del tutto dimenticata. Se invece è stata operazione di marketing, allora il progetto ha funzionato, il Teatro dell'Opera di Firenze era esaurito per tutte le recite programmate. Inoltre, si sono spesi anche i politici nel dare pareri favorevoli e contrari, ma siamo in campagna elettorale… allora tutto è lecito! Lo spettacolo ha avuto molta eco, ma con altrettanta facilità passerà nel dimenticatoio, e non credo che tali soluzioni, del cosiddetto “politicamente corretto”, prenderanno piede.
Ryan McAdams, direttore e concertatore, è una bacchetta sicura e precisa, ma i tempi sono spesso arbitrari, il preludio del I atto velocissimo, gli altri contraddistinti dalla lentezza. La lettura è professionale ma più improntata su colori forti e vigorosi a scapito della sensualità, forse dovendosi adattare alla regia, e i dettagli erano sovente trascurati. Eppure in buca c'era l'Orchestra del Maggio Musicale, che sa fare molto meglio pur mantenendo una solida professionalità. Molto bravo e preciso il Coro e il Coro delle Voci Bianche del Maggio Musicale, entrambi diretti da Lorenzo Fratini.
Protagonista era Veronica Simeoni, cantante che interpreta una Carmen più ribelle che sensuale, e sfodera accenti e fraseggio eloquenti anche se la gamma vocale è chiaramente sopranile e sovente la zona centrale è poco sostenuta, ma il personaggio c'è e l'arte scenica è esemplare. L'esecuzione dell'Habanera passa senza particolari emozioni, anche per l'impostazione registica, mentre la Seguidilla e la scena delle carte sono più convincenti. Roberto Aronica è un don José non particolarmente raffinato, più versato nel ruolo macho e violento. Tuttavia, la linea di canto non è sempre nitida, specie nei momenti lirici, più a suo agio nei passi declamati, anche se l'esecuzione era spesso stentorea.
Positiva la prova di Laura Giordano, cantante raffinata, dotata di buona voce, anche se leggera e in alcuni momenti poco espressiva, ma sono efficaci l'uso dei colori e alcune sfumature. L'Escamillo di Simone Alberghini è contenuto e poco istrione, l'aria del Toreador manca di quell'aurea spavalda e guascona, ma resta un solido professionista e il duetto del III atto è ben cantato. Molto brave le due compagne di Carmen, Frasquita e Mercedes, rispettivamente Eleonora Bellocci e Giada Frasconi, cantanti musicali e puntuali. Altrettanto si deve rilevare per i bravi Dancaire di Dario Shikhmiri e Remendado di Gregory Bonfatti.
Merito di nota per Adriano Gramigni, uno Zuniga di grande classe, e buona la prestazione di Qianming Dou, preciso Morales. Completavano la locandina Ramona Peter, venditrice d'arance, Gabriele Spina, un bohémien, e Rufin Dho Zeyenouin, Lillas Pastia.
Alla quinta recita, cui abbiamo assistito, prolungati e convinti applausi a tutta la compagnia di canto. Si pensava che le polemiche si fossero esaurite con le contestazioni della prima, invece al termine della rappresentazione non son mancate vive rimostranze nei confronti dello spettacolo.
Lukas Franceschini
22/1/2018
Le foto del servizio sono di Pietro Paolini Terra Project-Contrasto per il Maggio Musicale Fiorentino.
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