Un dittico sin troppo tradizionale al Massimo Bellini di Catania
Il dittico verista Cavalleria Rusticana – I Pagliacci proposto, come vuole da più di un secolo una certa abitudinaria consuetudine, in un immutabile e cristallizzato binomio, rivela oramai a nostro avviso le corde, evidenziando una totale corrosione temporale, alla quale soggiace la stessa abitudine quando diviene routine, negandosi ad accettare quei mutamenti di gusto determinatisi nel corso della storia e delle trasformazioni sociali, ambientali, ideologiche e culturali. Tale divaricazione, a nostro avviso sempre più ampia, abbiamo percepito in occasione proprio del dittico proposto dal Teatro Massimo Bellini di Catania, con debutto il 2 maggio e con repliche fino all'8 maggio 2014. Auspichiamo pertanto per il futuro delle esecuzioni singole dei due capolavori veristi, che a parte le esteriorità della gelosia e del delitto d'onore hanno per il resto davvero molto poco in comune.
La regia di Luca Verdone si rivelava priva d'inventiva e davvero disadorna in Cavalleria, dove alla solita scena con portale di chiesa a sinistra e facciata di osteria a destra, entrambi prospicienti una piazza (vista centinaia di volte!), non veniva aggiunto un bel nulla se non il gratuito transito di una coppietta di innamorati che prima litigano e poi si riappacificano, seguiti da due gendarmi che recano a braccia un reo, forse rievocazione della scena dell'arresto del burattino Pinocchio... Senza attardarci peraltro su un Turiddu che canta sul proscenio con un riflettore puntato in stile espressionista “O Lola ch'ai di latti la cammisa”, ed un compar Alfio che si presenta in scena con una semplice frusta che non riesce nemmeno a fare schioccare... Ma a parte questi peccati puramente registici, è da registrare soprattutto una Dimitra Theodossiou davvero fuori ruolo come Santuzza, sia per l'assenza di qualsiasi slancio emotivo sia per una dizione spesso indecifrabile e incomprensibile, tralasciando la sua vocalità praticamente estenuata, quanto mai inadatta al canto verista. Riuscivano a districarsi in modo non eccelso ma dignitoso nel loro ruolo Richard Bauer (Turiddu), Sabina Beani (Lola) e Hayato Kamie (Alfio). Non male il coro preparato dal maestro Costa, anche se talvolta sopra le righe per certe sonorità a nostro avviso eccessive e troppo traboccanti nel fortissimo.
I Pagliacci invece, pur con la stessa regia di Verdone, riusciva a proporsi in maniera incisiva e pregnante sia per l'assenza di spazi e tempi “vuoti”, sia per una più trascinante forza mitopoietica sprigionantesi da tutto l'insieme, certo più coeso ed amalgamato rispetto alla staticità peculiarmente “spaziale” di Cavalleria Rusticana. Hayato Kamie nella parte di Tonio riusciva stavolta a rivestire il suo personaggio di grandissimo pathos e drammaticità, non solo da un punto di vista vocale ma anche scenico. Ha ripreso una certa quota canora anche Richard Bauer nella parte di Canio. Da evidenziare pure la delicatissima e distinta prova offerta dal bravo Salvatore Todaro, rivelatosi un quasi perfetto Silvio e di Roberto Iuliano, elegante e disinvolto Peppe.
Di particolare ricchezza e bellezza la prova di Daniela Schillaci, assolutamente a suo agio nel personaggio di Nedda, sia da un punto di vista vocale che gestuale. L'artista è riuscita ad imprimere grande forza drammatica e profonda emotività scenica alla complessa figura femminile da lei tratteggiata.
La direzione del maestro Manuli, abbastanza limitata nella Cavalleria Rusticana, specialmente per quanto riguarda l'amalgama sonoro ed il colore orchestrale, ha riguadagnato quota ne I Pagliacci, dove la nota emotiva riusciva a caricarsi di più profondi e pregnanti significati.
Giovanni Pasqualino
8/5/2014
Le foto del servizio sono di Giacomo Orlando.
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