RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


Cavalleria Rusticana e Pagliacci

alla Scala di Milano

Al Teatro alla Scala è stato ripreso il classico dittico Cavalleria Rusticana e Pagliacci nello splendido allestimento del 2011 con la regia di Mario Martone. Seppur nate quasi contemporaneamente, Cavalleria a Roma nel 1890 e Pagliacci a Milano nel 1892, i due atti unici operistici sono l'emblema del verismo musicale italiano e della Giovane Scuola del melodramma, per questo sono stati da subito anche accoppiati nella programmazione teatrale. Se nello spartito di Mascagni prevalgono le scene drammatiche e l'orchestra ha funzione narrativa, tratteggiando l'ambiente e la situazione con una rilevante forza emotiva, è in Pagliacci che notiamo un elemento innovativo di assoluta novità: lo scambio della situazione tra vita e teatro, il quale rende ancor più tragica e veritiera la forza drammatica dell'opera, che è anche caratterizzata da un effetto popolaresco e folkloristico, ad esempio i saltimbanchi che gironzolano attorno alla vita dei teatranti girovaghi.

Come in occasione della prima messa in scena non posso che dare un giudizio positivo sulla realizzazione di questi spettacoli. Mario Martone centra come pochi altri registi il senso narrativo delle due opere. In Cavalleria s'imprime con forza il maschilismo nelle tradizioni siciliane, infatti, durante il preludio vediamo una classica casa di tolleranza frequentata da clienti abitudinari tra cui Alfio, lo stesso che poi sfida col sangue colui il quale ha osato disonorare il tetto coniugale. Nel corso dell'opera, che si svolge nel giorno di Pasqua, assistiamo ad un coro quasi immobile seduto di spalle al pubblico perché intento a seguire la funzione religiosa. Di fronte a questa visione le varie scene si susseguono con una forza drammatica impressionante ove si mescola il sacro con il profano. In tale visione il gesto registico imprime una straordinaria emotività, cui i cantanti sono partecipi in misura assoluta. Bellissima la scena finale quando una voce annuncia l'assassinio di Turiddu e Santuzza passa davanti al coro maschile schierato sulla sinistra con sguardo di sfida contro le convenzioni della tradizione locale.

Pagliacci ha invece un'ambientazione moderna, il femminicidio per gelosia non è cosa nuova nel teatro e purtroppo oggigiorno di troppa attualità. I circensi sono degli emarginati della società che si esibiscono per pochi soldi nelle periferie urbane, la scena è delimitata da un imponente rampa stradale di una tangenziale. In un ambiente degradato e ai limiti della legalità, così s'intuisce, si sviluppa l'intreccio amoroso tra Nedda e Silvio, questi che potrebbe essere un arricchito industriale con tanto di Bmv, tale situazione degenera nel teatrino finale così spoglio e riduttivo che imprime ancor più senso di desolazione sociale. La mano registica, funzionalissima anche in questo caso, imprime il doppio rapporto vita-teatro coinvolgendo la scena nella platea del teatro ove siede Silvio ed è trucidato dall'inferocito e geloso Canio. Raramente capita di veder realizzate le due opere con cosi eccellente vigore e drammatica narrazione che coinvolge lo spettatore in un sol fiato. Artefici assieme al bravo regista sono l'eccellente Sergio Tramonti per la scenografia, e l'encomiabile Ursula Patzak che realizza costumi di alto taglio sartoriale, neri e tradizionali per Cavalleria, moderni con quel tocco meraviglioso di volgare per Pagliacci, senza dimenticare l'ottimo apporto di Pasquale Mari alle luci.

Carlo Rizzi dirige entrambe le opere con sostanziale routine, svolge il suo compito e tiene assieme la scena. Mancano purtroppo uno slancio emotivo, un colore orchestrale vivo, e un tema narrativo che probabilmente in tale repertorio gli sono sconosciuti. Il Coro del Teatro alla Scala e il Coro di Voci bianche sono puntualissimi e molto precisi perché preparati da Bruno Casoni.

Violeta Urmana avrebbe tutte le caratteristiche per essere una validissima Santuzza, e lo è stata anche, ma il tempo passa, cui va aggiunto il continuo passaggio a ruoli di soprano e mezzosoprano, pertanto il registro acuto è compromesso per non dire sfaldato e rasente al grido. Peccato perché la zona centrale è ancora robusta e l'aderenza al personaggio esemplare. Stefano La Colla, dopo il successo in Turandot, ha confermato le sue buone capacità anche in Turiddu, ove ha dimostrato ottima musicalità e buone doti interpretative, le quali sono state rese anche da Marco Vratogna, però la voce è sfasata, sovente nasale e con difficoltà nel passaggio. Completavano la locandina Oksana Volkova, Lola, più espressiva nel fisico che nella voce e la veterana Mara Zampieri quale mamma Lucia.

In Pagliacci, Marco Berti era un Canio stentoreo ed incolore, propenso ad un canto di forza senza anima, fraseggio e colore. Diversa la valutazione di Fiorenza Cedolins, la quale ha perso lo sfavillante e suggestivo smalto di un tempo, ma in un ruolo come quello di Nedda riesce pur con una voce dura e talvolta artificiosa ad essere credibile e ritagliarsi un meritato plauso anche per le doti interpretative. A Marco Vratogna Tonio calzerebbe a pennello per aderenza stilistica ed impeto interpretativo ma i problemi espressi in Cavalleria sono identici soprattutto nell'arioso del prologo. Simone Piazzola è l'unico che dimostra una linea di canto e una voce integra, avesse avuto suggerimenti più incalzanti dalla direzione, sarebbe stato ancor più coinvolgente in un duetto che potrebbe essere stato più passionale. Discreta la prestazione di Juan José Leon (Peppe) e corretti i due contadini interpretati da Bruno Gaudenzi e Michele Mauro. Spettacolari il gruppo di acrobati che hanno ravvivato la scena con acrobazie strepitose.

Lukas Franceschini

21/6/2015

Le foto del servizio sono di Brescia e Amisano – Teatro alla Scala.