Madrid
Riesumazione de La Calisto di Cavalli
La Calisto è il classico soggetto barocco di mitologia grecolatina sulle storie di amori difficili tra divinità di prima o seconda classe e i mortali che normalmente ne soffrono le conseguenze. Qui siamo poi nel regno preferito di Ovidio e le sue Metamorfosi, con la trasformazione della ninfa Calisto nell'Orsa che il firmamento ci consente di vedere ancora oggi.
Qui è la solita infedeltà di Giove, invaghito della bella ninfa del corteo di Diana (le cui sembianze prende per consiglio di Mercurio allo scopo di vincere la ritrosa giovinetta), a destare i furori di Giunone che si vendica… sulla poveretta che non capisce niente perchè crede di essere stato oggetto delle attenzioni amorose di Diana, che la disprezza e la discaccia. La casta diva è innamorata a sua volta in modo non troppo casto del pastore Endimione, che l'adora con sentimenti puri e le due vicende amorose s'incrociano, impossibili entrambe ma con ‘lieto' fine – la Calisto si consola pensando all'onore e alla posterità, Endimione e Diana rinunciando all'amore fisico in un rapporto privilegiato. Giove, Giunone e Mercurio continueranno imperterriti le loro guerre e le forze della Natura – Pan, Silvano, Satirino, la ninfa Linfea – rimarranno sempre nel basso, il sesso senza troppe storie. Non mi piace raccontare il soggetto di un'opera ma in questo caso forse vale la pena perchè qui siamo davanti a un titolo veramente singolare di un autore che meriterebbe più attenzione da parte dai teatri.
E questo è il primo merito di tale recupero del Teatro Real. Ma anche perchè si sceglieva il notevole allestimento per la regia di David Alden, molto vicino per movimenti, luci, colori, scene a un musical di Broadway o di Hollywood che gioca molto con le tre figure allegoriche (Destino, Natura, Eternità), con le trame parallele ma anche con le possibilità istrioniche delle due compagnie, di livello altissimo, simile se ovviamente non esattamente uguale.
La direzione dell'Orchestra barocca di Sivglia, rinforzata per l'occasione con elementi dell'Orchestra del Teatro e con il Monteverdi Continuo Ensemble, ricadeva sul direttore musicale della casa, Ivor Bolton, che dimostrava perché si sia fatto un nome proprio con questo periodo del genere lirico. L'opera è ammirevole ma richiede eccellenti cantanti e artisti. Nell'insieme la scelta è stata proprio azzeccata, anche se magari si possono avere preferenze riguardanti lo stile, la tecnica, la qualità della voce o l'adeguazione di quest'ultima a un ruolo particolare.
Gli unici che si ripetevano in entrambi i cast erano Andrea Mastroni, un bravo basso, il dio Silvano, e il noto controtenore caratterista Dominique Visse, ormai molto veterano per quanto riguarda la voce ma sempre un grande artista. Le due protagoniste, molto avvenenti, erano press'a poco uguali: i soprani Louise Alder e Anna Devin, che cantavano e ballavano molto bene. Giove il seduttore impenitente erano il basso Luca Tittoto, di gravi imponenti e bella interpretazione, e il giovanissimo baritono Wolfgang Stefan Schweiger, di grave povero ma ancora più bravo nel ritrarre un personaggio in preda alla libidine. I due Mercurio (baritono) venivano affidati al miglior cantante, anche se di meno voce e più chiara, ma meno interessante attore, Nicolay Borchev e l'esuberante (troppo dal punto di vista vocale) Borja Quiza. La gelosa Juno erano Karina Gauvin, piuttosto soprano e con alcune limitazioni vocali, e l'eccellente Rachel Kelly (mezzo), brave attrici entrambe.
Diana non poteva essere più diversa ma ugualmente interessante: Monica Bacelli era un prodigio di stile e di un'interpretazione tutta sfumata; Teresa Iervolino, più bella e con più voce, era più leziosa e sopra le righe come interprete e il suo volume e timbro suonavano più a Rossini. Il platonico – in questa regia non così tanto – amante Endimione toccava nel primo cast al sensazione controtenore Tim Mead, ottimo attore per niente esagerato, e nel secondo a Xavier Sabata, di voce molto meno bella e forse troppo appassionato, come è di solito ogni sua interpretazione. Il dio Pane, sdegnato sdegnoso e vendicativo, erano i tenori Ed Lyons (voce stupenda) e Juan Sancho, meno bella, ma molto adeguata. Per finire la ninfa Linfea (qui alquanto matura) aveva i tratti e le voci di due tenori caratteristi notevoli in ogni aspetto, Guy De Mey (più veterano) e il valente Francisco Vas. Alcuni poi intervenivano anche come furie della fine e le allegorie iniziali sopra ricordate. Folto pubblico in tutt'e due le recite, molto interessato (l'opera è lunga) e grande e meritato successo. Quando si capirà che è molto meglio fare così questo tipo di opere e non l'ennesima e non fortunatissima Bohème, Traviata o Lucia?
Jorge Binaghi
27/3/2019
Le foto del servizio sono di Javier del Real.
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