RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

La Cena delle Beffe

alla Scala di Milano

Caso strano quello dell'opera La cena delle beffe di Umberto Giordano. Eseguita in prima assoluta alla Scala il 20 dicembre 1924, diretta da Arturo Toscanini, ripresa l'anno seguente e mai più rappresentata fino alla stagione attuale. Non si può affermare sia uno dei migliori spartiti del '900, ma avrebbe meritato maggior veicolazione, invece le poche proposte si contano sul palmo della mano. Il soggetto è tratto dall'omonimo dramma di Sam Benelli, uno degli autori teatri di maggior successo agli inizi del secolo scorso. La pièce, del 1909, ebbe immediato successo e popolarità sia in Italia sia all'estero. Fu rappresentata peraltro a Broadway con John Barrymore e a Parigi con Sarah Bernhardt (in ruolo en travesti), la consacrazione anni dopo fu la pellicola cinematografica di Alessandro Blasetti con Amedeo Nazzari, Osvaldo Valenti, Valentina Cortese, Memo Benassi, Luisa Ferida, Elisa Cegani, Lilla Brignone e Clara Calamai, della quale si ricorda il primo seno nudo in un film italiano. Benelli fu considerato a sproposito un “D'Annunzio” in miniatura mentre fu un vero e proprio drammaturgo di grande stile. Durante il fascismo ebbe problemi con il regime al quale non erano graditi i suoi lavori poiché rappresentavano i difetti e non le virtù del popolo italiano, nel caso della “Cena”, una tipica lussuria toscana, il dramma è ambientato a Firenze all'epoca di Lorenzo il Magnifico.

Giordano crea un dramma in prosa musicale nel quale è peculiare l'arte declamatoria e in parte verista. L'impianto è tipicamente lirico ma sensuale anche se il comune denominatore è la vendetta. Opera modernissima e d'azione, con tinte cupe di tragedia, nella quale potremmo ravvedere un tipico caso di bullismo, in altre parole un tema sociale di sopraffazione verso i deboli, una discriminazione intesa come spettacolo. Trattasi di storia eterna, anche se ambientata nel ‘400. Il libretto fu musicato come era stato scritto, ma fu tagliato per circa la metà dall'autore stesso per la scena operistica. Furono aggiunti dei versi per rendere più significato il personaggio di Ginevra.

Il regista Mario Martone ha avuto l'idea che la musica di Giordano si sposa benissimo con gli anni '20 americani capeggiati da bande di malavitosi. Firenze si sposta dunque a New York, nella Little Italy con bande mafiose, e si ammira una scena formata da tre piani diversi, che come un ascensore cambia a vista. Encomio alla creatrice Margherita Palli che sfrutta tutte le possibilità tecnologiche della Scala, la grande sala del ristorante che ricorda “il grande Gatsby”, la cantina cupa e truce, la modesta casa di Ginevra, tutto in stile perfetto e molto hollywoodiano. Bellissimi i costumi di Ursula Patzak, grande foggia ed eleganza che rimandano sempre a memorie cinematografiche. Martone gioca sul lato erotico del dramma e lo fa con mano sapiente e funzionale teatralità, lo spettacolo è preciso e molto accattivante, sembra di assistere alla proiezione di un film. In quasi tutto il cast trova attori che lo seguono con efficace incisività. Lascia perplessi la scena finale, la quale seguendo la linea drammaturgica del regista offre un colpo di scena inaspettato quando Lisetta entra nella stanza ove si è appena consumato il delitto-beffa, e assieme ad un gruppo di gangster compie una carneficina tipica di episodi criminali dell'epoca. Scelta azzeccata dal punto di vista teatrale ma che si differenzia notevolmente dal testo di Benelli.

La direzione di Carlo Rizzi è stata di buon mestiere e professionale, centrata soprattutto sull'equilibrio tra buca e palcoscenico che è stato raggiunto in maniera egregia, complice un'orchestra in ottima forma. Potremo rilevare che talvolta mancavano peculiari sonorità sia da punto narrativo sia nelle scene erotiche, ma Rizzi doveva fare i conti con un cast non sempre all'altezza del compito, pertanto certe dinamiche erano impensabili.

Quanto al cast penso che la Scala abbia proposto quanto di meglio oggi reperibile, pur con delle eccezioni. Marco Berti, Giannetto Malespini, è un tenore solitamente alterno ma in questo ruolo trova anche una certa misura nel canto declamato, purtroppo il legato non è raffinato, l'intonazione sovente precaria e il fraseggio assente. Meglio la prova di Nicola Alaimo, Neri Chiaramentesi, interpretativamente era più credibile, voce robusta e sonora cui però manca l'incisività, l'ampiezza vocale, e il segno del verismo canoro, tuttavia oggi forse è stata la migliore scelta nel panorama baritonale e nel complesso si ritaglia un personale successo, anche se non è cantante per tutti i repertori.

Kristin Lewis, Ginevra, è il “tallone d'Achille” del cast, qui sì che si poteva trovare di meglio. La cantante è penalizzata da una dizione arraffazzonata e incomprensibile, cui dobbiamo sommare la totale assenza di sensualità e un timbro sempre stridulo.

Il lungo elenco dei personaggi in locandina prevedeva alcuni ruoli marginali ma fondamentali nella drammatica vicenda. Jessica Nuccio, Lisabetta, che coglie un personale successo per dolcezza e incisiva partecipazione vocale. Il Gabriello Chiaramentesi di Leonardo Caimi è perfettamente calato nel ruolo e buon cantante. Magnifico il sadico dottore di Bruno De Simone, è il caso di affermare che la classe non si appanna mai, come il sornione Tornquinci di Luciano Di Pasquale. Molto brava Chiara Isotton nel ruolo di Cintia e il giovane Edoardo Milletti, Lapo e un cantore, il quale ci regala una soave canzone nel IV atto.

Pe dovere si citano anche gli altri personaggi, tutti ben calibrati sia scenicamente sia vocalmente: Frano Lufi (Fazio), Giovanni Romeo (il Calandra), Chiara Tirotta (Laldomine), Federica Lombardi (Fiammetta), Francesco Castoro (il Trinca).

Opera come si diceva non di repertorio, che tuttavia ha attirato molto pubblico curioso, il quale ha decretato un convinto successo al termine a tutta la compagnia.

Lukas Franceschini

20/4/2016

Le foto del servizio sono di Brescia e Amisano - Teatro alla Scala.