RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


La Cenerentola liegese in trasferta a Charleroi

 

Nell'imminenza del suo venticinquesimo compleanno, Gioachino Rossini si fa un magnifico cadeau d'anniversaire : la magica Cenerentola , suo ventesimo lavoro teatrale (Roma, Teatro Valle, 25 gennaio 1817). Siamo all'inizio di un anno che si annuncia superimpegnato. Già nel precedente 1816 l 'infaticabile giovanotto pesarese ha licenziato tra Roma e Napoli ben tre opere: Il Barbiere di Siviglia, La Gazzetta e Otello, quest'ultimo in dicembre. Dopo La Cenerentola lo aspettano nello stesso 1817, rispettivamente per Milano, Napoli e Roma, La Gazza ladra, Armida e, quale strenna natalizia, Adelaide di Borgogna (scusate se è poco).

La Cenerentola, ossia La bontà in trionfo, su un efficace e coloritissimo libretto di Jacopo Ferretti, alterna delicati toni pastello sul versante patetico-amoroso a vigorose pennellate sgargianti su quello ridanciano-buffonesco, che sconfina al momento opportuno nel surreale comico di cui Rossini si è già dimostrato impareggiabile distillatore. E così, tra stupore estatico, astrazione comica e divertimento allo stato puro, l'ineffabile ragazzaccio ci guida per mano all'happy ending della fiaba, che vede premiata la bontà della maltrattata Angelina e ripagato il pubblico con il suo rondò finale.

La vicenda era ben nota, attraverso le diverse versioni offerte dalle fiabe di Giambattista Basile, Charles Perrault e dei Fratelli Grimm. Più a portata di mano, il suggerimento a Rossini e Ferretti incalzati dal tempo lo aveva fornito Agatina, o La virtù premiata di Stefano Pavesi su libretto di Francesco Fiorini, andata in scena con notevole successo alla Scala di Milano nel 1814. Se il dramma giocoso di Ferretti e Rossini relega di proposito l'elemento fiabesco nella canzone di Cenerentola ('Una volta c'era un re'), il realismo comico dell'azione con le indispensabili peripezie non smentiscono lo spirito e la stringatezza della favola che vede trionfare la propria moralità positiva. Vale la pena in ogni caso di rilevare che la dipintura del prepotente trio di patrigno e sorellastre dell'eroina, tanto blasonati quanto bassi d'animo e opportunisti, tanto vanagloriosi e sprezzanti quanto spiantati e sempre portati a scambiare il princisbecco per oro puro e meritatamente “bastonati” nell'epilogo, è di una ferocia inaudita. Stupisce che l'audacia della “favola” sia passata pressoché indenne tra le maglie della censura pontificia, i cui zelanti revisori dovevano essere quantomeno affetti da presbiopia! Mentre invece l'idillio tra la protagonista e il principe travestito è raffigurato con una delicatezza e una tenerezza che sembrano anticipare, pur con diverso spirito, L'elisir d'amore donizettiano di un quindicennio più tardi.

All'Opéra Royal de Wallonie di Liegi Rossini è un ospite abituale e la presenza sulle locandine dei suoi titoli, fra noti e meno noti, costituisce un sicuro richiamo per il pubblico, il quale infatti, già in occasione della rara Gazzetta andata in scena a conclusione della stagione 2013-14, aveva affollato la sala del Théâtre Royal. Rientrato in Belgio giusto in tempo per non mancare questa Cenerentola inaugurale della stagione 2014-15 dell'ORW, ho assistito all'ultima rappresentazione di sabato 4 ottobre nella dépendance del Palais des Beaux Arts di Charleroi.

La regia era affidata a Julien Lubek e Cécile Roussat, attori, clowns, registi e coreografi, usciti dall'École internationale de Mimodrame Marcel Marceau di Parigi, i quali hanno anche realizzato scene, costumi e luci. Una piattaforma girevole suddivisa in altrettanti spicchi quanti sono i luoghi dell'azione, situati in parte nella fatiscente dimora di Don Magnifico ed in parte nel non troppo principesco palazzo di Don Ramiro, ambienta suggestivamente i vari momenti della vicenda sotto luci per lo più notturne. I variopinti costumi, dove occorre estrosamente buffoneschi, si ispirano vagamente al primo Ottocento romano. Versatili mimi ed acrobati e finti animali animati vivacizzano con stralunati sberleffi le scene più movimentate, dove Rossini magistralmente si scatena. E il pranzo offerto dal Principe nel primo atto è un invito... a nozze! Solisti e coro , quest'ultimo nelle mani esperte di Marcel Seminara, hanno egregiamente corrisposto sulla scena alla fantasiosa lettura di Julien e Cécile a maggior gloria di Gioachino.

Sul podio della valente Orchestra dell'Opéra de Wallonie, Paolo Arrivabeni ha impresso alla musica, già nella stupenda ouverture (proveniente dalla Gazzetta, ma qui in una sede senza dubbio più appropriata), tutta la vivacità, l'ironia e la sbrigliatezza richieste dalla partitura, senza andare affatto a discapito delle situazioni delicate e tenere, dove Rossini ama con i suoi personaggi.

L'Angelina del mezzo soprano Marianna Pizzolato traduce in calore, eleganza, velluto e irresistibile dolcezza il suo personaggio, avendo come partner il cattivante Ramiro di Dmitry Korchak, vibrante ed espressivo benché meno preciso nello squillo. Ma gli eroi della serata si sono rivelati i due buffi, in effetti attesi al varco, vale a dire Bruno De Simone (Don Magnifico) ed Enrico Marabelli (Dandini), cimentatisi in un duello di bravura e comicità, condotto ora col fioretto delle più sottili sfumature, ora coi fendenti della buffoneria più travolgente e surreale. Due bassi-baritoni di gran lusso vocalmente in stato di grazia. Si aggiungano le micidiali sorellastre, che erano Sarah Defrise (Clorinda) e Julie Bailly (Tisbe), le quali, attimo dopo attimo, si sono date tutte corpo e ugola con dosaggio calibratissimo: tremende, assurde, incredibili. L'Alidoro del basso Laurent Kubla, "mago" benefico e saggio nonché indispensabile deus ex machina, completava autorevolmente il cast.

Fulvio Stefano Lo Presti

26/10/2014

Le foto del servizio sono di Jacky Croisier.