RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 

 

Quattro passi fra le nuvole

C'è un luminoso cielo azzurro, appena solcato da nubi passeggere, ad accogliere lo spettatore in sala: il London Coliseum, raffinata sede Art Nouveau dell'English National Opera, ospita gli appuntamenti più prestigiosi e impegnativi del blasonato cartellone del Sadler's Wells, la più antica e prestigiosa istituzione coreografica britannica, e tra questi Cinderella, il balletto in tre atti di Sergej Prokof'ev. Un pubblico numeroso ed entusiasta di attentissimi – ed educatissimi – bambini affolla la capiente sala progettata da Franck Matcham e inaugurata la vigilia di Natale del 1904. L'occasione, tuttavia, è particolarmente ghiotta per gli amanti della danza, poiché viene ospitato in tournée il Balletto nazionale olandese, che in prima esecuzione inglese propone una nuova coreografia firmata da Christopher Weeldon, presentata per la prima volta all'Het Muziektheater di Amsterdam il 13 dicembre del 2012 e coprodotta dal San Francisco Ballet: spettacolo già entrato nella storia della danza, visto che è stato insignito del prestigioso Prix Benois de la Danse nel 2013.

Esponente tra i più significativi della scena coreografica inglese – è stato allievo della Royal Ballet School di Londra – Wheeldon dal 2012 è direttore artistico del Royal Ballet, per il quale ha firmato due tra le coreografie di maggior successo degli ultimi anni, Alice in Wonderland (2011), da Lewis Carroll, e The Winter's Tale, da William Shakespeare, tre anni più tardi. Ed è proprio raccogliendo il testimone di una tra le più prestigiose scuole di danza internazionali che Wheeldon è tornato a un soggetto caro alla danza britannica: tre anni dopo il debutto moscovita, infatti, un'altra Cinderella, nel 1948, segnò l'atto di nascita del Sadler's Wells Ballet – progenitore dell'attuale Royal Ballet – grazie alla felice intuizione di sir Frederick Ashton, che così firmava il suo primo balletto a serata intera. Moira Shearer – l'indimenticabile protagonista di Scarpette rosse – quindi Margot Fonteyn sono state le prime, trepidanti protagoniste del balletto, indimenticabili quanto le terribili sorellastre en travesti, impersonate da Robert Helpmann e da Ashton stesso. Forse anche in forza dell'argomento fiabesco, Cenerentola è un balletto particolarmente fortunato: nel breve volgere di un settantennio, si contano, tra le altre, le fortunate versioni di Michail Baryšnikov e Peter Anastos (American Ballet Theatre, 1984), quella acre e corrosiva di Maguy Marin (Opéra de Lyon, 1985), quella ironicamente ‘cinematografica' di Rudol'f Nureev (Opéra di Parigi, 1986) e quella psicanalitica di Jean-Christophe Maillot (Ballets de Monte-Carlo, 1999), fino all'ultima di Alexej Ratmansky (Mariinskij di San Pietroburgo, 2002).

Wheeldon ci riprova, dunque, e con grande originalità di tratti: per esempio facendo riferimento alla pluralità delle fonti della fiaba, tanto letterarie quanto teatrali. Accanto alla versione originale barocca di Charles Perrault (1697), infatti, il libretto di Craig Lucas recupera quella romantica dei fratelli Grimm (1812), intrisa di umori Sturm und Drang, da cui riprende il personaggio della madre e la sua morte prematura. Nel corso del prologo, l'infanzia felice della bambina viene bruscamente interrotta dalla breve, folgorante malattia della madre, affetta dalla malattia ottocentesca par excellence, la tisi. Sulla sua tomba – sulla quale è pure inciso il nome di… Amélie Poulain – Cenerentola versa lacrime copiose, abbeverando un albero che cresce a dismisura, fino a diventare il rifugio della fanciulla, porto sicuro nel momento della prova, luogo della trasformazione – una vera e propria trasfigurazione – prima del ballo. Quattro spiriti-guida, premurosi e benevoli, aleggiano sempre intorno alla fanciulla, la circondano e la assistono, diventano longa manus della madre assente, pronti a temperare – se non risolvere – gli ostacoli di una quotidianità greve di onerose mansioni.

Ma l'antefatto della vicenda viene evocato anche per il principe – che qui si chiama Guillaume, con gustoso omaggio alla dinastia olandese. Così, lo vediamo scorazzare tra le gallerie del palazzo reale sin da bambino, in compagnia di Benjamin, inseparabile amico d'infanzia, pronto a prendersi gioco delle lezioni di danza e di bon ton di Madame Mansard; quindi, una volta diventato adulto, costretto a familiarizzare con la geopolitica internazionale direttamente dal padre, re Albert, che gli impone anche di prender moglie, dopo avergli fatto visitare un'esilarante galleria di minacciosi ritratti femminili. E qui il coreografo inserisce la seconda intuizione, questa volta di marca rossiniana: come nel capolavoro buffo del Pesarese, infatti, per meglio conoscere l'animo delle sue pretendenti il principe decide di indossare i panni dell'amico, che ne farà temporaneamente le veci: e in casa di Cenerentola si presenterà addirittura travestito da mendicante, suscitando l'umana compassione della fanciulla e le ire della matrigna e delle sorellastre, rapidamente distratte dall'invito al ballo a corte. Rimasta sola, abbandonata dai familiari, Cenerentola si rifugia presso l'albero, dove si assiste a un autentico trionfo della magia: le quattro stagioni le insegnano, una dopo l'altra, le qualità di cui dovrà far prova nel corso della serata, la luminosità, la generosità, il mistero e la fluidità; quindi gnomi e uccelli della foresta approntano l'abito per la festa e una meravigliosa carrozza. Circonfusa dall'alone di un incantevole mantello color pesca, Cenerentola si avvia alla festa.

Il cielo azzurro del primo rideau de scène cede il passo, per il secondo atto, ai pesanti damaschi dei cortinaggi di palazzo reale, dove brilla il talento del corpo di ballo olandese: scene d'assieme travolgenti, memori della sapiente organizzazione dello spazio scenico di un Cranko o di un MacMillan, cedono presto il passo alla presentazione delle pretendenti alla mano del principe. Il divertissement coreografico, elaborato sulla scorta di una tradizione che risale a Petipa, viene qui declinato con inarrivabile sense of humour tipicamente britannico: le tre principesse, infatti, vengono dalla Russia, dalla Spagna e da Bali, ma sono accompagnate rispettivamente da un austero pope ortodosso, da un segaligno cavaliere dalla triste figura e da una mezzana orientale, pronta a esaltare le virtù della ‘merce' vantata. È un incalzante crescendo emotivo quello che attraversa l'intero secondo atto, fino all'arrivo di Cenerentola: quando si dissolvono le pareti del palazzo e le mille luci dei candelieri si specchiano nell'incanto di una notte stellata. Il disegno coreografico di Wheeldon s'infittisce di preziose trame, come nel lungo, articolato pas de deux dei due innamorati – ricco di passi aristocratici e raffinati per lei come di acrobatici manèges per lui – in cui tra gli assolo e la travolgente coda vengono incastonati altri due brevi pas de deux, uno esilarante in cui la matrigna, ormai ubriaca, viene inseguita dal marito, e l'altro dedicato a una delle sorellastre, Clementine, brutta ma dal cuore buono, di cui si innamora Benjamin. E qui si innesta un'altra delle novità dell'intreccio, che trasforma la cadetta delle sorellastre in una vittima del rigido matriarcato familiare, pronta a scoprire l'amore grazie al fascino discreto dell'amico del principe.

Quando un rotondo vassoio d'argento cade per terra, i rintocchi della mezzanotte fanno fuggire la bella incognita, cui la matrigna strappa la maschera dal viso: resterà per terra solo una scarpetta, mentre la fanciulla fugge rapida attraverso una galleria del palazzo. Il terzo atto diventa allora rapida epitome di quanto visto in precedenza, sintesi di situazioni e atteggiamenti costruiti in maniera accorta, a partire dalla prima scena, quando su un'interminabile fila di sedie, disposte al proscenio, si predispongono alla prova della scarpetta praticamente tutti i personaggi femminili del balletto: dame di corte e ospiti straniere, donne senza una gamba o dai piedi puzzolenti, ma anche gnomi e uccelli del bosco. È un tripudio di ironia e fantasia, che non smentisce il finale, nel segno di un rutilante, fastoso e festoso happy ending, all'ombra dell'albero che Cenerentola ha visitato nell'ora del dolore, e adesso nella più lieta stagione della felicità. E la levità dell'impaginazione coreografica di Wheeldon non poco beneficia dei cambi di scena a vista, immaginati da Julian Crouch, che firma anche i preziosi, elegantissimi costumi e le fantasiose maschere; ma soprattutto degli effetti speciali che – strizzando l'occhio al musical – impreziosiscono lo spettacolo: dal disegno dell'albero e della carrozza, dovuti a Basil Twist, alle proiezioni video di Daniel Brodie, fino ai sapienti effetti di luce di Natasha Katz.

Autentico trionfatore della serata è il Balletto nazionale olandese, diretto da Ted Brandsen. Compagnia storica tra quelle europee (ha ormai superato il mezzo secolo di vita), ma aperta agli apporti di una pletora di artisti provenienti da ogni parte del mondo, il corpo di ballo fornisce allo spettacolo una miriade di personaggi minutamente elaborati: dalla nobile figura del padre di Cenerentola (Sébastian Galtier) a quella arcigna, ma in fin dei conti divertente, della matrigna Hortensia (Sasha Mukhamedov); dalle due sorellastre, Edwina e Clementine (Erica Horwood e Suzanna Kaic), strepitoso duo in aperta competizione, al Benjamin comprensivo e aitante di Serguei Endinian; fino ai quattro spiriti-guida (Matthew Pawlicki-Sinclair, Peter Leung, Edo Wijnen e Anatole Babenko) e ai solisti delle quattro stagioni (Aya Okumura, Young Gyu Choi, Roman Artyuskin e Maria Chugai) che completano efficacemente il cast. Ma su tutti brilla la stella dei due principal dancers, la georgiana Maia Makhateli e il russo Artur Shesterikov, nei panni di Cenerentola e del principe Guillaume, lui elegantissimo porteur, lei provvista di una carica di umanità capace di attraversare le mille sfumature del ruolo: personaggi vibranti di una carica di contagiosa, vibrante sim-patia, tale da suscitare la pronta condivisione del pubblico, il suo entusiasmo, il suo più caloroso affetto. Un trionfo.

Giuseppe Montemagno

2/9/2015

Le foto del servizio sono di Angela Sterling.