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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Cagliari

Prima europea di una notevole opera italiana

Marco Tutino non sembra essere un nome che risulti molto interessante a una certa intellighenzia musicale. Non solo non segue le mode, ma per di più scrive delle opere (figuriamoci) e, cosa ancora più terribile, tonali, melodiche, che interessano e perfino coinvolgono il pubblico, e in questo caso nelle tre recite viste un settore alla fine ha buato i cattivi che, divertiti, si difendevano tra risate e applausi. Scrive anche rispettando la voce umana ed è capace di comporre un intermezzo come quelli di una volta. Si ricollega volutamente a Puccini e lo fa benissimo e senza complessi sapendo di fare altro ma seguendo una tradizione. Il risultato è che il pubblico che all'inizio era un po' restio – é anche vero che il secondo atto è più forte e drammatico del primo – finiva applaudendo in piedi.

Se non erro, questa prima europea e italiana – la prima assoluta è stata a San Francisco, la prima opera italiana scritta espressamente su richiesta di un teatro degli Stati Uniti dopo il Trittico pucciniano. Si veda che ‘laggiù nel Soledad' hanno, o avevano, meno paura degli snob – de La Ciociara in un primo momento veniva annunciata a Torino. Se così è, doppio bravo per il Teatro Lirico di Cagliari. Se ci fossero sovrintendenti e direttori artistici con un vero fiuto per i titoli nuovi, questo in particolare dovrebbe fare il giro del Belpaese ma anche del mondo. Vedremo, anche se non ne ho troppa fiducia.

Il libretto scritto dal compositore e da Fabio Ceresa su una sceneggiatura di Luca Rossi è eccellente (senza paura di parole normali e, se arriva il caso, ‘operistiche') benchè il merito iniziale vada al romanzo omonimo di Moravia e alla ricordata versione cinematográfica diretta da De Sica con la Loren. Ma ci sono delle differenze esplicite tra gli originali e l'opera che ne è derivata, primo fra tutti il triangolo soprano-tenore-baritono che viene ripristinato quando pareva che il suo tempo fosse da un pezzo tramontato. Lo spettacolo di Francesca Zambello, per la prima assoluta, è efficace, realista, agile, con tantissimi effetti (forse un po' troppo) ma risulta chiaro e lavora tanto sui personaggi.

È chiaro che la protagonista, Cesira, appartiene senz'altro a quel tipo di ruoli cui la presenza dell'affascinante Anna Caterina Antonacci da una dimensione enorme, bigger than life per dirla con una frase che si usava molto un tempo nel cinema americano, e questo non solo per la formidabile interpretazione ma per l'intensità, limpidezza e tavolozza del suo fraseggio e la spontaneità del suo canto.

Sebastian Catana era un bravissimo Giovanni, un uomo la cui personalità e la guerra fanno diventare una canaglia (a tanti dovrebbe parlare chiaro questo ruolo). Lavinia Bini, nei panni di Rosetta, la figlia d'oro di Cesira, riusciva a ritagliarsi un bel successo accanto a cotanta mamma. Aquiles Machado, di figura non proprio ideale per il giovane maestro Michele, è ancora in possesso di un bellissimo timbro ma qua e là l'acuto si fa rigido e forzato. Roberto Scandiuzzi creava un imponente Maggiore tedesco, così perfido da disputarsi con Giovanni e i marocchini stupratori l'odio di alcuni spettatori come accennato prima (il suo sorriso però li disarmava). Gli altri ruoli sono minori, ma tutti erano perfettamente distribuiti, in particolare l'avvocato debole e codardo di Gregory Bonfatti e il mezzosoprano Martina Serra come voce fuori scena e Lena, una madre prima egoista e interessata e poi impazzita per l'uccisione del suo neonato.

Il coro, preparato da Donato Sivo, forniva un'ottima prestazione musicale per niente facile, ma forse potrebbe essere più credibile nell'azione scenica. L'orchestra aveva un compito ancora più arduo e rilevante e la sfida veniva vinta con tutti gli onori, diretta in modo impeccabile da Giuseppe Finzi che, come tutti gli altri, sembrava davvero credere in quel che aveva fra le mani, e forse in qualche momento il volume era un po' eccessivo, ma questa è cosa che va capita.

C'è stata una seconda compagnia per i ruoli principali, francamente molto buona. Alessandra Volpe ha una voce scura di mezzosoprano e la sua Cesira era molto buona, e lo stesso va detto della Rosetta di Claudia Urru. Devid Cecconi era un Giovanni più che buono e Angelo Villari un magnifico Michele, rispetto a quello di Machado di voce meno bella e squillante ma molto più sicura e di presenza scenica più adeguata. Giovanni Battista Parodi dava il dovuto rilievo al suo più che corretto Maggiore. La reazione del pubblico è stata anche in questo caso molto positiva... Forse, come Cesira, abbiamo capito a fine spettacolo che siamo come fiammelle sbocciate troppo tardi.

Jorge Binaghi

2/12/2017