Ciro in Babilonia
al Rossini Opera Festival
Il terzo e ultimo titolo presentato al Rof è stato Ciro in Babilonia, ripresa della produzione del 2012 curata da Davide Livermore, con il debutto di Jader Bignamini al festival pesarese. L'opera Ciro in Babilonia, ossia La Caduta di Baldassarre, è la quinta opera lirica del catalogo rossiniano e la seconda nel genere serio. Per precisione non sarebbe un'opera lirica vera e propria, ma un dramma con cori per musica che Rossini compose per il Teatro Comunale di Ferrara, ivi fu eseguita nella Quaresima (febbraio?) del 1812. Non sappiamo con precisione se fu rappresentata in un vero e proprio allestimento scenico, oppure eseguita in forma oratoriale. Tali peculiarità devono essere intese come varianti per aggirare il divieto di allestire spettacoli d'intrattenimento durante la Quaresima. Il soggetto, in parte biblico, e l'utilizzo di grandi cori contribuirono alla dicitura “oratoriale” dello spartito e in tal senso ottenne il benestare dalle autorità religiose. Fu lo stesso librettista, Francesco Aventi, un ferrarese letterato per diletto e ufficiale della Guardia Nazionale, a proporre al giovane Rossini, che stava affermando il suo valore compositivo a Venezia, l'occasione del debutto a Ferrara. La musica è quasi completamente originale, ad eccezione della Sinfonia, dall' Inganno felice, e alcuni imprestiti da Demetrio e Polibio ed Equivoco stravagante. L'opera rappresenta il germe d'inizio dell'opera seria: elaborati accompagnamenti orchestrali, l'utilizzo di strumenti solisti nell'accompagnare le arie, marcie funebri, scene nelle prigioni e scene sotterranee. Come per gli oratori di altri compositori d'oltralpe Rossini scrisse un'aria per ciascun cantante, elemento rarissimo e non riscontrabile in altri lavori. In definitiva non potremo definire Ciro un capolavoro, ma in esso si trovano pagine di assoluto rilievo e inizi compositivi che poi troveremo in partiture successive e più famose. Ciro in Babilonia è anche uno degli spartiti, pochi per precisione, del quale non esiste l'autografo, ma il compito del Fondazione Rossini e del Rof è proporre l'opera omnia basandosi su studi musicali e revisioni critiche. All'appello manca ancora il centone Eduardo e Cristina. Lo spettacolo ideato da Davide Livermore quattro anni or sono convince più oggi che al debutto. Il regista ha un accentuato amore per il cinema antico e pertanto adatta molte sue drammaturgie operistiche basandosi sull'arte della pellicola. Qui le cose funzionano molto meglio rispetto al Turco della sera precedente. Innanzitutto, Livermore s'ispira ai kolossal del cinema muto in maniera più coerente e sceglie una lettura drammaturgica magari “forzata” in stile con la recitazione del tempo ma lineare e molto appropriata nella drammatica trama della lotta tra Ciro e Baldassarre. Si possono pertanto rivedere quel tipo di films epici che hanno caratterizzato la prima fase dell'arte cinematografica. Il regista si aiuta anche con alcuni video originali, altri girati appositamente con i cantanti, sempre in un filo conduttivo chiaro e piacevole. Bella la scena di Nicoals Bovey, tutta a scacchi bianco e nero, per non tradire l'impianto originale, straordinari e da mozzafiato i costumi di Gianluca Falaschi che riempiono la cena con uno sfarzo raramente visto nel teatro d'opera odierno.
Ottima la direzione di Jader Bignamini. Il direttore lombardo si ritaglia un particolare successo in questa produzione e quindi La Traviata veronese è da considerarsi una piccola deviazione di percorso. La sua concertazione, che surclassa notevolmente quella del collega della precedente edizione, s'impone per la scelta di tempi molto appropriati, la dinamica dei colori e la sferzante direttiva imposta all'Orchestra del Comunale di Bologna. Non da meno è da rilevare il grande lavoro orchestrale sui recitativi, che in quest'opera sono lunghissimi e numerosi, ma anche il tono narrativo, che è variato nel susseguirsi delle scene, e il particolare impeto nei momenti virtuosistici. In definitiva una grande prova del compito del direttore d'orchestra.
L'orchestra ha svolto il suo compito con dovere professionale anche se qualche falla si è avuta nella sezione degli ottoni. Il Coro, istruito da Andrea Faidutti, non sempre calibrato, ha dimostrato maggior professionalità rispetto alla prova precedente.
La protagonista era Ewa Podles, illustrissima cantante spesso ignorata dai grandi circuiti e dal Rof stesso nei suoi anni migliori. Ritrovarla oggi dopo quattro anni non ci permette di dire che la signora sia in ottima forma. Si registrano molti difetti, causa anche l'età e la lunga carriera, di un mezzo ormai usurato che non riesce più a legare, si potrebbe parlare di tre voci differenti, e di una zona centrale ormai inesistente. Eppure la sua prova è stata molto rilevante per chi ha saputo cogliere quello che ancora può fare: l'accento specifico del canto rossiniano, la diversità di fraseggio nei diversi momenti, l'impeto e lo stile del personaggio eroico. In quest'ultimo caso resta maestra, aiutata molto anche dal responsabile direttore, e può ancora dare lezione a tutti i cantanti più giovani del Festival. Sembra che questa produzione di Ciro abbia potuto essere eseguita solo perché la signora Podles ha accettato di ritornare al Festival cortesemente e dopo molte pressioni, diversamente forse si sarebbe dovuto cambiare titolo. Erano voci che giravano alla fine della recita.
Antonino Siragusa ha interpretato un Baldassarre molto autorevole, dimostrando di aver corretto alcune fissità e passaggi nasali presenti nelle sue ultime prove. Elegante nel fraseggio e nel canto, ha superato la prova, non facile, con la capacità dei suoi ragguardevoli mezzi cui ha contribuito una musicalità innata. Pretty Yende, Amira, sarebbe cantante troppo leggera per la parte, e non così afferrata nel canto di colorature. Tuttavia, bisogna riconoscerle una volontà ferrea d'impegno, anche se i mezzi sono limitati, lei ha profuso un accento e un fraseggio più che meritorio, anche se nei momenti di coloratura spianata ha dovuto patteggiare con la sua voce situazioni non proprio felici come nell'aria del secondo atto e l'intonazione non sempre precisa.
Lasciano poca traccia lo Zambri di Oleg Tsybulko e il Daniello di Dimitri Pkhaladze per stile anche se in possesso di mezzi non comuni ma non ancora rodati. Discreta la prova di Isabella Gaudi, un'Argene corretta anche se non sfavillante e Alessandro Luciano, Arbace, che si fa onore cantando la difficile aria con buona professionalità.
Successo pieno a termine con punte di trionfo per la Podles e Bignamini e appuntamento al prossimo anno con una nuova produzione de Le Siège di Corimthe e le riprese di Torvaldo e Dorliska e La pietra del paragone.
Lukas Franceschini
18/8/2016
Le foto del servizio sono di Amati Bacciardi - Rof.
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