Buon compleanno, Giuseppe Verdi!
A volte ce ne dimentichiamo: ma anche i festival esistono. Per esempio a Parma, dove da anni strenuamente si combatte – nonostante l'ormai proverbiale, annosa carenza di fondi puntualmente e puntigliosamente decurtati – per tenere viva l'attenzione su Giuseppe Verdi, per dedicargli un Festival degno di questo nome. Non di sole idee, ma anche e soprattutto, vive una kermesse che – grazie alla fervida impronta creativa di Anna Maria Meo, direttore generale del Teatro Regio – non solo ha trovato il coraggio di instaurare un fecondo dialogo con il territorio, le sue realtà produttive e culturali; ma con il mondo intero, che a Parma si dà convegno, durante il mese di ottobre, per tributare un doveroso omaggio al compositore di Busseto. È bello, ad esempio, scoprire che non uno dei negozi del centro storico è privo della vetrofania “Noi siamo con il Festival Verdi”, marchio onnipresente che certifica alto senso di appartenenza, acuto senso del marketing, spirito di accoglienza. È bello ascoltare le note di Verdi, anche solo passeggiando lungo la via Garibaldi, mentre si ammira l'elegante facciata del Teatro, inaugurato il 16 maggio 1829 da Zaira di Vincenzo Bellini.
Ed è una grande giornata, quella in cui si festeggia il 202° compleanno di Giuseppe Verdi. Più che una festa, sembra una colorata e colorita Woodstock verdiana quella immaginata in mattinata, sul prato antistante l'austero Palazzo della Pilotta, tutti disposti a semicerchio davanti al monumento al compositore, capolavoro Liberty dello scultore palermitano Ettore Ximenes. Brevi ma intensi, i saluti iniziali coinvolgono non solo le autorità – in testa il Sindaco di Parma, Federico Pizzarotti – ma anche i rappresentanti dello Storico “Club dei 27” (per altrettanti soci, ciascuno associato a un'opera verdiana) e ospiti d'oltralpe, su tutti la battagliera Ursula Riccio, con tanto di coccarda tricolore al petto, presidente della Gesellschaft der Verdi-Freunde in aller Welt di Norimberga. Tutti impegnati non solo a tessere le lodi della musica di Verdi, ma anche a ricordare i valori civili e morali di uno straordinario corpus teatrale alla moltitudine di giovani e giovanissimi presenti alla manifestazione. Poi, tutti a cantare “Va', pensiero”, con un pizzico di malinconia e il piacere di essere in tanti, tantissimi, sempre di più: prima la Corale Verdi , diretta da Martino Faggiani, e poi i giovani delle scuole di ogni ordine e grado, gli allievi del conservatorio, i tanti appassionati convenuti da tutto il mondo. In un tripudio di fiori e “Viva Verdi!”, fino al flash mob delle scuole di danza, immancabilmente sulle note di Verdi.
È festa grande, poi, a sera, nello scrigno del Regio, decorato da Girolamo Magni. Che per l'occasione ospita un gala in cui pagine da Attila e Luisa Miller, Macbeth e La forza del destino, La traviata e ll trovatore, Ernani e Rigoletto, fino al Finale II di Otello, portano a combustione un pubblico straordinariamente partecipe. Protagonisti d'eccezione del recital sono il tenore Gregory Kunde e il baritono Vittorio Vitelli, accompagnati al piano da Beatrice Benzi. Gli ultimi due sono tutt'altro che un riempitivo: perché se quest'ultima unisce alla cura dell'accompagnamento lo smalto di un pianismo dalle morbide sfumature salottiere, in due raffinati fogli d'album, tra cui il celeberrimo Valzer in fa maggiore (poi orchestrato da Rota per Il gattopardo di Visconti); il primo è baritono di bella tempra e accorto scavo interpretativo, attento all'eleganza della linea di canto («Pietà, rispetto, amore», da Macbeth) come a una forbita, scultorea definizione della “parola scenica” verdiana («Pari siamo!», da Rigoletto). Fiumi d'inchiostro sono già stati spesi sul “caso” Kunde, il tenore dell'Illinois che sta attraversando una formidabile stagione aurea. Con straordinaria generosità, Kunde riprende pagine che ormai fanno parte del suo passato (la grande scena di Rodolfo dal secondo atto di Luisa Miller, in cui cesella il recitativo d'introduzione, macerato nel dolore dell'abbandono; l'aria di Alfredo dalla Traviata), accanto ad altre, del suo repertorio attuale, in cui una tecnica prodigiosa, un fraseggio di folgorante incisività e una strepitosa comunicativa rendono indimenticabile la sua galleria di ruoli verdiani. E su tutti s'impone l'Alvaro della Forza del destino, dalla grande aria del terzo atto, in cui l'ammirevole gioco dei fiati tratteggia il nostalgico, purissimo ricordo dell'amata, fino al gran duetto dell'ultimo atto, autentica epifania di un fato cui è impossibile sfuggire; e soprattutto il suo bronzeo, soggiogante Otello, nello smarrimento inquieto del monologo del terzo atto come negli spasimi di vendetta del duetto su cui si chiude il secondo atto, autentico scontro tra due personaggi – e due artisti – di grande tempra, traboccante energia, impressionante vigore.
Poco, prima, l'intelligenza dell'artista aveva già colpito l'uditorio: alla fine della più celebre cabaletta del Trovatore, «Di quella pira», il do – peraltro non scritto, ma sancito dalla tradizione – era stato luminoso, sicuro, svettante, ma breve. Per questo Kunde ferma gli applausi, chiede alla pianista di riprendere le battute conclusive e le corona con un acuto splendente, abbagliante, interminabile. E così fu che se ne cadette ‘o triato, avrebbe sentenziato Eduardo…
Accadde a Parma, il 10 ottobre 2015.
Giuseppe Montemagno
11/10/2015
La foto del servizio è di Roberto Ricci.
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