John Adams: l'opera e la storia 
Ascoltare un'opera musicale diretta dal suo autore è certo esperienza affascinante e rara. In anni recenti è successo all'Accademia di S. Cecilia con l'ungherese Peter Eötvös, recentemente scomparso, con il britannico Thomas Adès, e accade di nuovo ora con lo statunitense John Adams. Agli anni Ottanta risale il suo Nixon in China, del quale ha eseguito alcune fra le scene più significative. La composizione origina da una proposta apparentemente bizzarra dell'eccentrico e talentuoso regista Peter Sellars; comporre un'opera teatrale sul viaggio in Cina compiuto da Richard Nixon nel 1972, per incontrare Mao Zedong e riallacciare i rapporti ormai compromessi fra i due Paesi. Accettando la sfida, Adams colloca il pensiero teatrale all'interno della politica e della storia. Merito anche del sagace libretto di Alice Goodman se l'operazione è perfettamente riuscita. Andato in scena per la prima volta nel 1987, Nixon in China è un classico del nostro tempo, al quale sono seguiti altri titoli altrettanto legati all'attualità, come The death of Klinghoffer. Adams, la cui aria professorale è smussata da una notevole dose di empatia, introduce l'esecuzione definendone le caratteristiche peculiari. Comunismo e capitalismo si incontrano in una partitura che oggi riapre il discorso sulla Cina, totalmente mutata rispetto agli anni Settanta e ancor più protagonista della storia mondiale. Memorabile l'apertura, con il jet di Nixon che atterra in una Pechino preda del gelo. Le figurazioni ritmiche incalzanti schiudono il sipario su una scrittura energica, innervata da una tensione continua. Il minimalismo viene rimodellato in maniera personale, mai monotona e sempre fortemente teatrale, mediante continui spostamenti di accenti e dovizia di sfumature. I cangianti impasti timbrici definiscono una scrittura luminosa, capace di descrivere atmosfere fisiche e morali, il gelo che simbolicamente caratterizza il paesaggio e la fragilità che si cela dietro la retorica del potere.
Adams governa la partitura con sicurezza, coadiuvato da un'Orchestra dell'Accademia in ottima forma. Fra i solisti emerge la Pat Nixon di Mary Bevan, apparentemente sottomessa al marito ma capace di profonde riflessioni nella scena della visita alle tombe dei Ming. Nixon esordisce con un monologo visionario, nel quale sottolinea i progressi della scienza, e nel contempo riflette sulle difficoltà dalle quali è costellato il suo cammino. Nella scena del ricevimento lo vediamo entusiasta e anche un poco brillo, afflitto da un'innegabile paranoia. John Moore riesce a mostrare le oscillazioni di un carattere instabile con sufficiente dovizia di accenti. Apprezzabili, infine, Gurgen Baveyan nel ruolo di Chou En-lai e Patrizio La Placa nei panni di Kissinger. Peccato che la selezione non abbia contemplato le parti in cui sono in scena Mao e consorte, nelle quali si concretizza il tema politico dell'opera. Una menzione spetta infine al Coro, che ha un ruolo centrale nella narrazione.
La serata si apriva con Short ride in a fast Machine, ossessiva cavalcata che simboleggia le ambizioni tecnologiche degli Stati Uniti. Completava il programma la suite di Aaron Copland Billy the Kid. In giovane età, Adams fu certamente colpito dal lavoro di questo compositore, che realmente incarna lo spirito dell'America. L'opera, non esente da accensioni retoriche di ingenuo effettismo, riveste comunque un significato importante nell'edificazione del mito americano. La storia del bandito dal fascino romantico trova in Adams interprete totalmente consapevole delle sue coordinate epiche ed emotive. Successo di pubblico in una sala non molto affollata, in occasione del secondo concerto di venerdì sette novembre.
Riccardo Cenci
12/11/2025
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