Marcello Filotei
Il sacro e il moderno
Nel tradurre in chiave moderna le 7 ultime parole del nostro Redentore in croce di Haydn, in una rilettura affidata alle percussioni, all'elettronica e a una voce baritonale, il compositore romano Marcello Filotei si concentra sulla fisicità del Cristo, sul dramma scaturito dal suo farsi uomo. Il brano si intitola laconicamente 7, quasi a sottolineare un'universalità che non ha bisogno di mediazioni linguistiche. Il progetto origina da un'idea di Marco di Battista e si avvale dell'interpretazione dell'Ars Ludi Ensemble, nato nel lontano 1987 per sopperire all'assenza in Italia di un gruppo specializzato nel repertorio dedicato alle percussioni. L'opera, trasmessa in prima assoluta sulle web radio di Radio Vaticana, trova la sua incarnazione concertistica nell'ambito della stagione della IUC, molto attenta alle tematiche del contemporaneo. Nell'affrontare una commissione insolita, proveniente da un canonico di Cadice, Haydn si poneva il problema di “scrivere sette Adagi di dieci minuti l'uno senza annoiare gli ascoltatori”. La stessa specificità del luogo destinato ad accogliere l'opera, quella cattedrale di Cadice dominata da una solenne oscurità, imponeva le condizioni emotive dell'ispirazione. Le successive declinazioni per diversi organici strumentali dimostrano l'alta considerazione del compositore austriaco per la sua creazione.
Nell'affrontare un compito certo non facile, Filotei scarnifica l'essenza della scrittura haydniana, per proseguire con una metafora corporale. Restano le melodie, facilmente individuabili nelle intonazioni del baritono, mentre residui di linee melodiche e di figurazioni ritmiche, più ardue da percepire, si insinuano nella tessitura percussiva. Proprio l'impiego di un'ampia tipologia di strumenti a percussione, ognuno con le sue caratteristiche in fatto di intonazione, e il loro uso a volte non tradizionale, determina la peculiarità del brano, la sua difficoltà esecutiva. L'Ensemble Ars Ludi risolve egregiamente tali problematiche, riuscendo a trovare il giusto equilibrio fra le diverse sezioni. Merito di Gianluca Ruggeri, al quale era affidata la concertazione, aver mantenuto la tensione dell'arco narrativo e la fluidità del discorso musicale. Una menzione merita infine il baritono Patrizio La Placa per la concentrazione sui valori testuali. Tornando al brano, l'uso delle percussioni è metafora potente del caos del nostro tempo. Filotei non aspira tradurre in musica il messaggio teologico, ma vuole sottolineare il carattere perennemente attuale delle parole del Cristo. In questa maniera l'invocazione “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” diviene il grido di un'umanità smarrita e afflitta dal peso di infinite guerre, al quale la frase pronunciata in diverse lingue aggiunge peso drammatico. Allo stesso modo la parola latina Sitio (sete) adombra una pressante necessità fisica, simboleggiando nel contempo la pericolosa aridità che minaccia l'anima. Raccogliendo una sfida non facile, Filotei ha tracciato un percorso fra passato e presente. In un'epoca in cui il materialismo sembra prevalere sulla spiritualità, meditare su questo brano fondante nella cultura occidentale assume un significato che trascende la mera religiosità per farsi universale.
Riccardo Cenci
28/2/2024
La foto del servizio è di Andrea Caramelli.
|