Peralada
Due concerti poco riusciti
Bryan Hymel e Irini Kyriakidou
Per festeggiare i trent'anni di esistenza e di attività, il Festival del Castello programmava, a parte un'opera (ci torneremo in altra sede), parecchi concerti e recital. Mi è stato possibile seguire dal vivo solo i due ultimi che incorniciavano lo spettacolo lirico: il Festival è sempre molto vario e ci sono balletti, altre musiche, teatro e via dicendo.
Il primo era il debutto del tenore Bryan Hymel, che arrivava anche con la moglie, il soprano greco Irini Kyriakidou, accompagnati al pianoforte dal ben noto Julius Drake. La delusione è stata piuttosto forte. Un recital breve e non troppo felice, il meglio del quale era l'inizio con i quattro inni per tenore di Vaughan Williams, benchè con lo spartito in mano si sa che le possibilità espressive per forza di cose diminuiscono.
Ma anche senza partitura, eccezione fatta della grande aria di Jean le Baptiste dall'Hérodiade di Massenet, complessivamente molto buono, la scelta di repertorio non sembra troppo felice. Se nella Carmen può risultare corretto e perfino interessante, la voce troppo grave (ed ingolata), poco flessibile, lo fa più adatto al José degli ultimi atti che non a quello dei due primi, dai quali si ascoltavano il duetto dell'atto primo con Micaela (corretta Kyriakidou, ma si tratta di un soprano tra i tanti che non lasciano traccia) e la romanza del fiore del secondo, risolta bene, non benissimo; non tanto però per l' Addio alla mamma della Cavalleria rusticana – bene senza troppi entusiasmi – e per niente la cavatina del protagonista nell'atto secondo di Roméo et Juliette di Gounod: in tutte poi finiva con delle corone interminabili, che facevano il loro effetto senza entrare a giudicare dell'opportunità o del buon gusto: il fraseggio piuttosto generico. L'ormai troppo famoso ‘Nessun dorma' dalla Turandot incominciava in modo alquanto imbarazzante per finire parecchio meglio: stranamente questa volta niente corona, chissà perché.
La Kyriakidou incominciava con tre pezzi estratti da Les nuits d'été di Berlioz, assolutamente uguali, articolazione confusa, un po' di tremolo e acuti striduli (niente gravi) per continuare con un canto alla luna dalla Rusalka di Dvorak privo di brio e di sfumature e un modesto ‘O mio babbino caro': qui ci vorrebbero un altro colore e delle mezzevoci da favola che il soprano non può offrire, e di nuovo si capiva poco o niente. Drake accompagnava senza troppo interesse, tranne forse nelle canzoni di Vaughan Williams e Berlioz, ma anche in questi autori il suono era pesante e un po' monotono, qualcosa che non ci si aspetta da lui. Il successo è stato moderato, e il pubblico riempiva la Chiesa del Carme.
Xavier Sabata
Nella stessa sede, con una presenza meno folta ma molto infervorata, il controtenore catalano Xavier Sabata presentava un programma sui titoli del barocco che hanno a che fare con i diversi aspetti di Alessandro Magno. L'accompagnava la corretta ma poco esaltante Capella Cracoviensis. Ma meno esaltante ancora risultava per il sottoscritto la voce del cantante, di cui avevo sentito meraviglie: dire avara di colori è poco, c'è qualche riflesso (metallico) e un po' di squillo in zona acuta, non troppa estensione, poco volume, un grave praticamente inesistente, articolazione incomprensibile e per di più un' espressività come si usa parecchio oggi, alquanto esagerata e non sempre adeguata. E tutto ciò pesava su un programma monotono (compresi i bis), dove avevano la meglio le arie languide o tristi e solo tre (alla fine di ogni parte e del concerto) di quelle ‘di furore'. Tutto sembrava uguale, lungo, e neppure Haendel, sia nella parte strumentale che in quella vocale, riusciva a brillare sul resto, Bononcini, Vinci, Steffani, Mancini, Pescetti. Graun, e Leo. Jorge Binaghi
10/8/2016
Le foto del servizio sono di Joan Castro – Iconna.
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