RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Un insolito programma

Mihhail Gerts

L'attesa era grande: per la prima volta Gustavo Dudamel, direttore venezuelano tra i più in vista del panorama contemporaneo, avrebbe messo piede in quel di Torino. L'occasione sarebbe stata il concerto di martedì 10 novembre 2019 presso l'Auditorium Giovanni Agnelli. Il condizionale è d'obbligo, però: all'ultimo, un'indisposizione ha costretto il riccioluto classe 1981 a dare forfait. Ma non tutto il male vien per nuocere. A prendere il suo posto, alla testa dell'Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia, è stato chiamato Mihhail Gerts, giovane (coscritto dello scrivente) ma già apprezzatissimo direttore estone che porterà il concerto in una tournée italiana comprendente altre tre date (Brescia, 11/12, Udine, 12/12, Rimini, 14/12).

Il concerto ha compreso tre brani tra diversissimi tra loro per stile e finalità. Prende il via con l'Ouverture della Semiramide di Gioachino Rossini, il melodramma tragico del 1823 col quale il Pesarese dava, senza saperlo, l'addio ai palcoscenici italiani (si sarebbe trasferito a Parigi l'anno seguente e non avrebbe più fatto ritorno in Italia, se non dopo morto). Continua con la Sinfonia n°2 in si bemolle maggiore D 125 di Franz Schubert, del 1814-1815, nella quale si compendia il Classicismo haydniano alla luce di una sensibilità romantica in boccio. Il geniale Schubert diciassettenne della Seconda, prima di subire la fascinazione di Beethoven (che cercherà di emulare con la Quarta, l'anno dopo, programmaticamente in do minore), cerca, sì, di fissare a suo modo i canoni dello spirito settecentesco; ma c'è anche una buona dose di “italianità”, a partire dal primo movimento, che sembra avere affinità con le Sinfonie delle opere che circolavano a Vienna in quegli anni, soprattutto nella briosità di quell'incostante, mobilissima e ondivaga linea melodica agli archi (ai violini, quasi sempre) del primo movimento, che sembra proprio raccontare una trama senza parole.

Seconda parte tutta dedicata a Johannes Brahms e alla sua granitica Sinfonia n°1 in do minore Op.68, la sinfonia a lungo covata, meditata, ripensata (i primi schizzi sono degli anni di Düsseldorf, 1855-56; il primo movimento, senza introduzione lenta, risale al 1862) e infine stesa nel settembre del 1876 sull'isola brumosa di Rügen, lambita dal mare del Nord (per quanto il grosso del lavoro sia stato approntato dal 1874), e che rivelò la vena sinfonica brahmsiana non solo al pubblico (per quanto, prima di essa, due lavori come il Primo Concerto per pianoforte e orchestra in re minore Op.15 e le Variazioni su un tema di Haydn Op.56a, l'avessero già annunciata eloquentemente!), ma anche all'autore stesso, che l'anno dopo il debutto della Prima si ritrovò per le mani la Seconda bella fatta e finita senza neanche sapere come. Il motivo di tanti ripensamenti e di una stesura così prolungata è da cercarsi, probabilmente, nel confronto con l'ultimo gigante della sinfonia tedesca, Ludwig van Beethoven, che con la sua Nona (ma anche con le altre) aveva aperto una strada nuova, che nessuno aveva davvero ripreso e continuato. Altri compositori avevano girato attorno alla questione. Ma ci voleva coraggio a prenderla di petto e portarla avanti. E Brahms lo fa, non risparmiandosi di citare quasi alla lettera il tema della gioia della Nona beethoveniana, proprio nel Finale, per sancire il punto dove termina Beethoven e inizia lui. Non parliamo poi del sovvertimento che opera sulla forma, che viene a essere simmetrica e circolare, anziché lineare: due movimenti mastodontici che ne abbracciano altri due centrali a fare da cuore calmo (senza lo Scherzo tradizionale), una disposizione che si ritroverà solo nella Settima di Šostakovic.

Quanto l'orchestra abbia lavorato con Dudamel nel mettere a punto questa esecuzione e quanto con Gerts non è dato saperlo, ma il risultato è qualcosa di artisticamente ben riuscito. La preparazione e l'interpretazione dei tre brani è nell'insieme di livello molto buono, senza dubbio per il valore dell'Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia, che fa registrare eccellenze nelle parti solistiche – eccezion fatta, e sia detto per amor di pignoleria, per i corni, strumenti insidiosi anzichenò, pericolosamente impegnati e scoperti nell'Ouverture della Semiramide – e un suono compatto dei pieni strumentali. Qua e là la compattezza va a scapito, però, della chiarezza di alcuni passaggi degli archi, specialmente dei ribattuti veloci, che vengono ad assomigliare a dei tremoli. Questo ingenera, giocoforza, un'impressione di confusione e opacizza il suono complessivo. Sono tuttavia sporcature occasionali: nell'Op.68 di Brahms gli stessi archi trascinano il discorso musicale con passione e vivacizzano a dovere quello schubertiano. Per il resto si tratta, ripetiamo, di una riuscita su tutta la linea.

Molto positive le impressioni sulla direzione di Gerts, che sa condurre con intelligenza e personalità le partiture presentate, per quanto la libertà di omettere l'esposizione nel primo movimento dell'Op.68 di Brahms non sia stata molto gradita. È vero, la struttura del pezzo si alleggerisce, ma se l'autore ha scritto il segno di ritornello, non si capisce perché ignorarlo (passi ancora per le omesse ripetizioni delle cabalette e i tagli delle arie nelle opere italiane, che erano e sono all'ordine del giorno: ma non con un tedesco rigoroso e intransigente come Brahms!). Qua e là emergono anche scelte, se non proprio provocatorie, perlomeno interessanti: le dinamiche estremizzate nei crescendo-diminuendo dell'Ouverture; la grazia, pur voltata in minore, del Minuetto della Sinfonia schubertiana e la leziosaggine tutta settecentesca con cui decora il relativo Trio, un gioco di cineserie di fiati; un Presto vivace finale rallentato e tenuto a freno, ancora sotto il segno di una graziosità qui forse un po' fuori luogo, e, per contro, accelerazioni non previste nel Finale brahmsiano (alla ripresa del corale).

Il concerto termina tra applausi convinti, che diventano scroscianti quando Gerts, in italiano, si rivolge al pubblico dicendo: «Un anno è passato, un altro sta per arrivare: tic, tac, tic, tac...». Lugubre memento? Macché! Segue il fuori programma di sapore tutto viennese, la Tik Tak Polka Schnell Op.365 di Johann Strauss jr., un brano ricavato arrangiando alcuni temi del Fledermaus.

Christian Speranza

16/12/2019