Il funebre Mozart
L'immagine che spesso si conserva di Mozart è quella di un allegrone, un gioviale buontempone incline allo scherzo che sa tenere compagnia senza eccedere mai nel troppo elaborato o nel troppo pensoso. Ebbene, non è così. In Mozart c'è sicuramente frivolezza, a tratti anche volgarità; ma alcune lettere testimoniano un lato più nascosto e interessante, come la seguente, al padre malato: «Poiché la morte […] è l'ultimo, vero fine della nostra vita, da qualche anno sono entrato in tanta familiarità con quest'amica sincera e carissima dell'uomo, che la sua immagine non solo non ha per me più nulla di terrificante, ma mi pare addirittura molto tranquillizzante e consolante! […] Non vado mai a letto senza pensare che (per quanto giovane io sia) l'indomani non ci sarò più. […]».
La testimonianza più eloquente è però, com'è ovvio, la sua musica. All'auditorium Arturo Toscanini di Torino, per il diciassettesimo appuntamento della stagione, venerdì 3 aprile 2015, l'Orchestra Sinfonica Nazionale (OSN) ha presentato un programma incentrato sul Mozart funebre: sotto la bacchetta di Juraj Valcuha, direttore principale dell'OSN, sono stati eseguiti la Musica funebre massonica KV 477 e il Requiem KV 626. Come già il dodicesimo concerto della stagione (che comprendeva il Requiem per archi di Takemitsu e l'Ottava Sinfonia di Šostakovic), anche questo si è svolto senza intervallo, anteponendo il brano più breve e di ascolto meno impegnativo a quello più lungo e denso. Con in più la differenza che ad accomunare i due brani non è stato solo la tematica di fondo, ma anche l' autore.
La Maurerische Trauermusik in do minore KV 477 (novembre 1785) appartiene a quella serie di composizioni (insieme alle Cantate KV 429, 471, 619, 623 e i Lieder KV 468, 483 e 484) scritte da Mozart per la loggia massonica «Zur Wohltätigkeit» («Alla beneficienza»), di cui faceva parte. L'occasione fu la commemorazione del duca Georg August von Meklenburg-Strelitz e il conte Franz Esterhazy von Galantha, «fratelli» massoni.
La direzione di Valcuha enfatizza la ieraticità della composizione: la maggior parte degli afflati enfatici, in una partitura dal sapore prettamente preromantico che forse non ne avrebbe disdegnato qualcuno in più, vengono quasi del tutto annullati in favore di una lettura asciutta, rispondente ad una pietas ancorata alla lucida scrittura contrappuntistica del brano, che si fonda su un canto gregoriano noto come Tonus pellegrinus. Si tratta di un'interpretazione, e come tale può essere condivisa o meno; deludono però le scoperte, seppur minime, diacronie dei fiati nei primi tre attacchi della composizione.
Supportata dal Coro Maghini, diretto da Claudio Chiavazza, l'OSN prosegue la serata con il famosissimo Requiem KV 626, opera ultima di Mozart scritta tra il luglio e il dicembre del 1791 e lasciata incompiuta per la morte prematura dell'autore, una composizione in cui si intrecciano il mito e la storia, e che offre ancora oggi agli studiosi numerosi interrogativi circa la parte autentica lasciata da Mozart e il grado di fedeltà del completamento – a firma di Franz Xavier Süssmayr (completamento considerato classico e storico, ma non l'unico esistente) – ai voleri dell'autore.
Valcuha destina al Requiem un'esecuzione singolarmente austera, in linea con la precedente Trauermusik: non si perde in languori romantici, e anzi asciuga e (velocizza) una partitura che, in effetti, non mostra alcuna indicazione che faccia supporre di dover fare altrimenti. Il riferimento è, ad esempio, al Rex tremendæ, o al fugato su quam olim Abrahæ, snelli e scattanti come levrieri. Poche le concessioni al romanticismo, come nel colore dato al Dies iræ grazie ai crescendo e diminuendo come da (malaugurata) tradizione esasperati e tendenti al demoniaco.
Il Coro Maghini si presenta come sempre compatto e granitico, con lievi cali che però non inficiano la qualità dell'esecuzione. Completano il cast il soprano Ekaterina Bakanova, decisamente all'altezza del ruolo (interessante notare come anche la vocalità mozartiana, in genere piuttosto impervia e ricca di colorature – basti pensare al cronologicamente vicino Flauto magico – nel Requiem diventa più sobria, più parca di abbellimenti), il mezzosoprano Eva Vogel, dalla voce sostenuta anche nelle note più gravi (Judex ergo cum sedebit), il tenore Jeremy Ovenden, già ascoltato dallo scrivente in altre occasioni, dal timbro particolarmente chiaro, voce leggera adatta al repertorio settecentesco, e il basso Tareq Nazmi, dall'interessante rotondità, seppur non sempre supportata da un volume vocale adeguato.
Christian Speranza
28/4/2015
Le foto del servizio sono dello Studio PiùLuce.
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