Il violoncello magico di Maisky
Uno degli appuntamenti più attesi dell'anno, il sedicesimo concerto della stagione Rai, giovedì 14 marzo 2024, ha visto la partecipazione di Mischa Maisky e della direttrice Han-Na Chang. In programma due pagine di musica russa del Novecento.
Apre la serata all'auditorium Arturo Toscanini di Torino il Concerto per violoncello e orchestra nº1 in mi bemolle maggiore Op.107 di Dmitrij Šostakovic. Il concerto nacque in tempi rapidissimi, una quarantina di giorni, nel 1959, e venne dedicato a Mstislav Rostropovic, che stregò il compositore per il suo modo di suonare. Fu proprio lui che lo portò al debutto il 4 ottobre dello stesso anno a Leningrado, diretto dal grande Evgenij Mravinskij (dedicatario a sua volta dell' Ottava Sinfonia e altre composizioni).
Ascoltare Maisky suonare questo Concerto significa vivere un'esperienza storica: anzitutto, il violoncellista lettone fu allievo di Rostropovic stesso (e l'unico ad esserlo anche di Piatigorskij). Mettiamoci poi che la quarantaduenne sudcoreana Chang ha esordito prima come violoncellista, che come direttrice, vincendo a undici anni il Primo Premio al Quinto Concorso Internazionale di Violoncello Rostropovic di Parigi, nel 1994, e il quadro è completo: un quadro in cui sia il podio, sia il solista sono in perfetta sintonia con il programma scelto, coadiuvati da un'Orchestra in piena forma, la Sinfonica Nazionale (OSN), ancora una volta sugli scudi per qualità di suono, tutti sotto il nume tutelare di Rostropovic.
La direzione di Chang appare densa di contrasti, in cui gli interventi dei bravissimi Ettore Bongiovanni (corno, tra l'altro l'unico previsto dalla partitura) ed Enrico Maria Baroni (clarinetto) si stagliano e si imprimono, graffiano il tessuto sonoro, duettando alla pari col solista, segni vivi e materici, gesti, più che frasi musicali, col timpano che piomba come una mazzata a sorpresa nel discorso, quasi un'inopportuna intromissione, fedele al “ff secco” che chiede l'autore. Una direzione plastica, a spigoli vivi come una poesia di Majakovskij. Ricco di spirito, molto sostenuto e corrivo, con un che di inquieto e allucinato l'Allegretto che apre il Concerto, ben fatto, sfumato di umbratili nuances il Moderato che segue, incrinato dagli ambigui cromatismi della scrittura di Šostakovic.
Semplicemente meraviglioso Maisky, profeta di un suono caldo, denso, sinuoso e vibrante quando si approfonda nelle spire pensose della Cadenza, il terzo movimento del Concerto (centoquarantanove battute tutte dedicate al solista senza accompagnamento), ansante, quasi piangente e anelante a un insoddisfatto bisogno di affermazione nell'Allegretto, dapprima timido, presto in lotta con l'orchestra, sospinto come a voler spiccare il volo sempre più in alto nel registro acuto. Come quasi sempre in Šostakovic, anche in questo non c'è requie, non c'è vera positività, la tonalità maggiore è un pretesto per mostrare una felicità deformata, mai pura o trasparente; e qui, al termine di un funambolico e spettacolare Allegro con moto, il frenetico peregrinare del solista viene troncato da un gesto perentorio e irriverente, che Chang sottolinea a dovere, tagliando il Concerto di netto, come con una mannaia.
Gli applausi sono scroscianti, da parte di un auditorium più vivo del solito, inframmezzati da meritatissimi Bravo! In risposta a tanto entusiasmo, Maisky non poteva concedere un fuori programma ordinario, magari un Bach delle Suite; no, ne concede uno davvero speciale, concordato in anticipo con la sezione dei violoncelli capitanata da Pierpaolo Toso: l'Introduzione (Embolada) e il Preludio (Modinha) dalla Bachianas Brasileiras nº1 di Heitor Villa-Lobos.
Un salto indietro nel tempo, e la seconda parte del concerto ci riporta al 1944, alla Sinfonia nº5 in si bemolle maggiore Op.100 di Sergej Prokof'ev. La Quinta segna un riavvicinamento di Prokof'ev al genere sinfonico, a quindici anni dalla Quarta. Anch'essa, come il Concerto di Šostakovic, venne composta rapidamente, suppergiù in un mese, tenuta a battesimo nel gennaio del 1945 dall'autore stesso e salutata, oltre che negli anni a venire come la sua sinfonia migliore e più rappresentativa, come un vero inno di vittoria per la fine della guerra, dato il suo carattere estroverso e magniloquente (ben diversa la Nona di Šostakovic, per restare in tema, presentata anch'essa nel 1945 come “sinfonia di vittoria”: la più striminzita e clownesca del suo catalogo, uno sberleffo che lo rese una volta di più inviso a Baffone).
A contatto col grande organico disposto da Prokof'ev, però, la direzione di Chang si fa più fumosa, più confusa. Di certo la scrittura della Quinta presenta difficoltà ulteriori per il direttore: alla compagine relativamente ristretta richiesta da Šostakovic, fatta apposta per esaltare la sonorità contenuta del violoncello, si oppongono qui quattro movimenti densamente strumentati – con un'orchestra che passa da quattro a otto contrabbassi, cinque percussionisti, legni “a quattro”, pianoforte concertante e un nutrito, per quanto non esagerato, schieramento di ottoni –, nei quali dipanare il filo conduttore dei temi non è semplice. Il più problematico risulta l' Andante d'apertura, in cui quei contrasti così vividi notati nella prima parte vengono sfumati in un'uniforme manifestazione di grandiosità sonora. Peraltro è da dire che si tratta di una pagina di effettistico pletorismo, rutilante di suoni ma che lascia poco quanto a emozioni. Simili problemi si evidenziano nell'Allegro giocoso conclusivo, dove anche qui l'uniformità di uno smalto sonoro lucentissimo poco concede allo scavo chiaroscurale e adombra una positività che sembra solo di facciata; e anche l'aspetto giocoso, non riesce a emergere, annegato com'è in una massa sonora ipertrofica trattata seriosamente. I movimenti intermedi vengono per contro caratterizzati meglio: l'Allegro marcato riporta al motorismo da perpetuum mobile di alcune composizioni pianistiche giovanili, e si fa apprezzare per l'effervescente dinamismo infusovi da Chang, con il deciso cambio di atmosfera in quella sorta di Trio centrale più calmo. Cambio di atmosfera anche più netto nell'Adagio che segue, che viene mantenuto teso, senza indugi o ripensamenti, e che in questo modo cementa l'unità con gli altri tre per via di sottili rimandi che si notano di più se il tempo non viene rallentato troppo.
A fine serata, applausi prolungati anche per questa seconda parte.
Christian Speranza
17/3/2024
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