RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Arrivederci, maestro!

In narratologia, quando si vuole tenere avvinto il lettore o lo spettatore, si ricorre talvolta al cliffhanging: tecnica per cui si interrompe un capitolo o una puntata di una serie TV, specie se è l'ultima della stagione, al culmine del climax. Come non leggere, poi, il capitolo successivo? Come non seguire, poi, la prossima stagione? E possiamo dirlo anche qui, giunti, giovedì 12 maggio 2016, con replica venerdì 13 (di cui si riferisce), al ventiduesimo e ultimo concerto dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai (OSN) per la stagione 2015-16, sempre dall'Auditorium Arturo Toscanini di Torino: come non seguire la prossima? James Conlon, vicino a rilevare l'incarico di Direttore Principale dell'OSN (succedendo a Juraj Valcuha), è ricorso, per agganciare il pubblico, ad un cliffhanging personale: in primo luogo dirigendo gli ultimi due concerti (il penultimo, si ricorderà, tutto dedicato a Dvorák); in secondo luogo, proponendo, per l'ultimo, accanto all'Incompiuta di Schubert, una suite sinfonica approntata da lui stesso nel 1991 di Una Lady Macbeth nel distretto di Mtsensk Op. 29 di Šostakovic. Conlon si è proposto così, non solo come direttore, ma anche come arrangiatore. «Ogni singola nota è di pugno di Šostakovic. Nulla è stato cambiato […] L'unico cambiamento nell'orchestrazione riguarda il trasferimento di alcune linee vocali – quelle essenziali per la corretta comprensione della partitura – agli strumenti dell'orchestra, creando degli a-solo per l'oboe, o il clarinetto, o la tromba»: così dichiara Conlon a Fabrizio Festa nell'intervista per Sistema Musica di maggio (n ° 9/2015-16).

La serata ha preso avvio con la Sinfonia n ° 8 in si minore D 759 di Schubert, del 1822, detta “Incompiuta”, pagina di straordinaria maturità, tra le più famose del pur nutrito catalogo schubertiano, precorritrice della sensibilità romantica, anzi, già pienamente romantica essa stessa, al cui clima guarda sia la scelta dei temi, sia la tonalità, rimasta “incompiuta” (priva del terzo e quarto movimento) per ragioni non ben chiarite: non certo però per la morte prematura dell'autore: tre anni dopo, infatti, nel 1825, avrebbe visto la luce la Nona Sinfonia in do maggiore “La grande” D 944, e più tardi ancora l'incompiuta – stavolta, sì, per cause naturali – Decima.

Conlon chiede un'orchestra a 14 violini primi e dà del primo movimento un'interpretazione curiosa. Il tempo si attesta su un Allegro moderato convenzionale; ma, mentre l'esposizione viene mantenuta su un'impostazione classica piuttosto rigida, che in parte stride col contenuto già romantico del brano, lo sviluppo, e in special modo la seconda metà dello sviluppo, si infiamma di un'energia che finalmente rivela il pieno potenziale del materiale tematico schubertiano, fino ad esplodere, nella riesposizione, in un una vera e propria nuova espressività. Anche il secondo movimento, l'Andante con moto in mi maggiore, segue lo stesso schema interpretativo: parte con la dovuta pacatezza, come un qualunque movimento lento di sinfonia, poi però scopre la sua anima lirica a partire dall'assolo di clarinetto, ripreso poi dall'oboe, che sfoggia un fraseggio chiarissimo. Non mancano i passaggi più tormentati, risolti anch'essi con il dovuto turgore, ma prevale un'impressione di dolcezza, confermata dal portamento dei fiati verso la conclusione, a parte una lieve sbavatura del corno. Gli applausi sarebbero stati più calorosi se il pubblico fosse stato in numero maggiore.

Tutt'altro clima espressivo si respira invece con la seconda parte del concerto, la già ricordata suite sinfonica di Una Lady Macbeth nel distretto di Mtsensk Op. 29 di Šostakovic, tratta dall'omonimo racconto lungo di Nikolaj Leskov (1831-1895). Šostakovic la compose a partire dal 1930, a ridosso dell'andata in scena, proprio nel 1930, della sua prima opera, Il naso. Venne rappresentata quattro anni dopo, nel 1934, ottenendo un successo trionfale di pubblico e di critica che si mantenne inalterato per due anni (nel 1935 l'opera sbarcò addirittura in America). Il 26 dicembre 1935, però, Stalin si recò a vedere l'opera. Se ne andò alla fine del terzo atto: e chissà come, un mese dopo, sulla Pravda, comparve un articolo feroce intitolato Caos anziché musica, in cui, per spregio, non compariva neanche il nome del compositore. Da quel momento l'opera fu ritirata. Dovettero passare tanto tempo per poterla rivedere sulle scene: e solo nel 1963, dieci anni esatti dopo la morte di Stalin, una seconda versione, meno aggressiva della prima, vide la luce con un titolo diverso: Katerina Izmajlova. È un'opera di denuncia sociale, a tinte molto, molto forti, opera scura con due omicidi e lo scoprimento di un cadavere in decomposizione, in cui la critica abbraccia diversi strati sociali e diverse professioni, compresa quella del poliziotto, non così incorruttibile. Per giunta la musica è di quello sperimentalismo al calor bianco che Šostakovic aveva riversato nella Quarta Sinfonia Op. 43, contemporanea alla composizione della Lady Macbeth. Non per nulla Šostakovic ritirò la Quarta senza averla neanche presentata. Ormai il danno era fatto: l'accusa di formalismo pesava su di lui, e solo con la Quinta Sinfonia riuscirà a cavarsela, sottotitolandola: «Risposta pratica di un compositore ad una giusta critica». Quanto poi Šostakovic stesso ritenesse «giusta» la critica (riferita direttamente alla stroncatura della Lady Macbeth), ciascuno può immaginarlo. Ma questa abiura piacque al Partito, che riammise Šostakovic tra gli artisti degni di rendere grande l'Unione Sovietica. C'è una frase emblematica nell'opera: «Non è facile, dopo rispetto e onori, / trovarsi di fronte a un giudice!». Se il compositore avesse saputo quanto sarebbe stata profetica!

Per la suite di Šostakovic-Conlon l'orchestra passa da 14 a 16 violini primi e si arricchisce di diversi fiati, due arpe, celesta e numerose percussioni, tra cui due tam-tam, xilofono, rullante e woodblocks. La suite, in prima esecuzione Rai a Torino, si presenta tagliata in quattro movimenti, che traggono ciascuno il loro materiale dai rispettivi quattro atti dell'opera, preceduti da un' Introduzione (intitolata Catastrofe, tratta dall'atto IV): atto I: Nel cortile della casa di Izmajlov-Camera da letto di Katerina-L'incontro di Katerina e Sergej; atto II: Notte. Katerina avvelena il suocero Boris-Interludio-In camera da letto, Katerina e Sergej; atto III: L'ubriacone-Il delatore-Al commissariato di polizia; atto IV: La deportazione in Siberia. L'andamento agogico dei quattro movimenti, – Allegro con brio–Allegro–Allegro molto, Largo–Andante–Allegro, Allegro–Polka–Presto e Adagio – rispecchia volutamente l'andamento di una sinfonia, senza alterare la trama dell'opera: in questo modo si può fruire della suite in due maniere: come godibile brano musicale a sé stante, oppure, se si conosce l'opera, come un riassunto della stessa, che può dispiegarsi nella mente lungo le sue tappe principali.

Conlon conduce l'orchestra ad esiti di sicura drammaticità più di una volta. Gli scoppi orchestrali, e sono molti, non paiono mai eccedenti il buon gusto, e i passaggi ove l'organico si riduce non sfuggono mai ad un controllo attento delle dinamiche, col risultato di ottenere un suono sempre limpido, senza orpelli, asciutto eppure, o meglio, forse per questo, estremamente comunicativo. Šostakovic si dirige così, pare dire Conlon: da buon sovietico, freddo e squadrato, ma con l'estro del genio.

Con questo saluto Conlon si congeda e dà appuntamento alla prossima stagione concertistica. Arrivederci, maestro!

Christian Speranza

16/5/2016