Dido and Aeneas a Montepulciano
Il mito come occasione per riflettere sulle migrazioni di oggi
Sorprende che uno dei massimi capolavori del teatro barocco si basi su una poetica estremamente scarna e minimale. In Dido and Aeneas Henry Purcell guarda certo all'opera italiana, ma la riduce a una dimensione cameristica lontana dall'estetica del meraviglioso. Non dimentichiamo che la commissione gli venne da un collegio per nobili giovinette, ubicato nel quartiere londinese di Chelsea, e non da un qualche impresario teatrale desideroso di successo. Di conseguenza la scrittura è calibrata sulle capacità di studentesse le quali, per quanto diligenti e preparate, non avrebbero potuto competere con i grandi virtuosi dell'opera. Non bisogna inoltre sottovalutare la peculiarità dell'ambiente anglosassone, più incline alla prosa che al melodramma, segnato in maniera indelebile dalla personalità gigantesca di William Shakespeare. La scelta del Cantiere Internazionale d'Arte di Montepulciano di sottrarre questo titolo ai tradizionali spazi teatrali per portarlo nell'ambiente monumentale del Tempio di San Biagio è perfettamente condivisibile, e trova appunto giustificazione nella particolare genesi di questo lavoro, pensato per essere allestito fra le austere mura di un collegio religioso. Al regista Michael Kerstan non sfugge il richiamo didattico di quest'opera, basata su un testo virgiliano da sempre particolarmente diffuso nelle scuole. Portare in scena oggi Dido and Aeneas significa anche riflettere sulle migrazioni che caratterizzano il nostro mondo, sul ruolo di un mare come il Mediterraneo, un tempo luogo di contatti e scambi fra i popoli, ora funestato da tante tragedie della disperazione. Il destino erratico di Enea adombra allora l'umanità intera e le sue sorti mai così incerte. La messa in scena pensata da Kerstan recupera la parsimonia del teatro elisabettiano. Poche imbarcazioni di carta tirate dai marinai simboleggiano il tema mitico del viaggio. La connotazione magica e infernale, una concessione di Purcell al gusto imperante nel seicento inglese, non necessita di orpelli particolari. Tutto si basa sui costumi, sulla recitazione dei protagonisti e sull'uso delle luci, a cura di Renato Vadalà. Il pubblico è vicinissimo ai cantanti, inserito nel cuore pulsante dell'azione.
Apprezzabile l'esecuzione musicale. Sabrina Cortese è una Didone di buon spessore vocale e umano. Particolarmente toccante il suo congedo dalla vita, il momento più alto dell'opera. Brave anche le sue colleghe femminili, a cominciare dalla Belinda di Giulia Manzini. Un gradino al di sotto risulta invece l'Enea di Antonio Orsini. Il trio demonico è ben incarnato da Stefano Guadagnini, Lucia Filaci e Caterina Meldolesi. Mauro Marchetti dirige con precisione il Modus Ensemble Roma, senza rinunciare per questo alla fantasia. Una menzione particolare merita il coro, ampiamente impegnato dalla partitura, sempre limpido nei suoi numerosi interventi. Grande successo di pubblico, a dimostrazione di come il teatro necessiti di entusiasmo e idee, e non di investimenti faraonici e nomi altisonanti.
Riccardo Cenci
25/7/2016
La foto del servizio è di Irene Trancossi.
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