Don Giovanni nella regia di Damiano Michieletto
alla Fenice di Venezia
L'opera Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart, nella produzione curata da Damiano Michieletto (2010), è riproposta al Teatro La Fenice per una dozzina di repliche quale ultimo titolo della Stagione 2016-2017. Spettacolo molto accattivante, ne abbiamo già parlato, e probabilmente uno dei migliori del regista veneziano, sicuramente molto superiore agli altri due della trilogia dapontiana, sempre allestiti alla Fenice. La visione di Michieletto prevede un protagonista quasi demoniaco, crudele, che tiene avvinghiate tutte le sue vittime e loro affini, in un gioco spietato per lui molto appagante tanto quanto l'irrinunciabile sesso, poiché in questo spettacolo la seduzione, il corteggiamento e la galanteria sono del tutto assenti. Prevalgono invece l'irruenza, l'egocentrismo e la foga dominante del protagonista, come fosse un manipolatore di esseri umani e un divoratore di donne. In questo caso, molto efficace l'ultima scena, il banchetto di Don Giovanni, un'orgia elettrizzante e molto ben allestita drammaturgicamente, in cui il cibo è rappresentato dalle donne. Idee forti, Michieletto ci ha ormai abituato, ma pertinenti, e in linea con le sfaccettature del seduttore incallito che forse non avevamo considerato. Oltre alla mano abbastanza felice del regista, il vero illuminato creatore è lo scenografo Paolo Fantin, che ricostruisce tutta una serie di ambienti (settecenteschi) in continuo movimento che s'intersecano e ricostruiscono tra loro in speculare perfezione armonica, una visione elettrizzante e magnifica. Altrettanto belli i costumi di Carla Teti, la quale con gusto stilizzato ricerca un '700 armonico ed elegante nelle vesti dei personaggi. Non convince nel suo insieme la direzione di Stefano Montanari, che pur avendo a disposizione un'orchestra attenta e in ottima forma, sceglie un ritmo narrativo e drammaturgico altalenante e incomprensibile. Colpisce in un primo momento il tempo veloce e incalzante, che poi scivola come un'onda in dinamiche molto più lente. Non abbiamo riscontrato una linea omogenea dello spartito, e anche se tale ritmo poteva destare qualche interesse e una certa vitalità all'azione teatrale, alla lunga diventava anche stantio e inespressivo. Inoltre, in molti passi era assai difficoltoso per i solisti seguire il maestro in questa vorticosa lettura, tanto che in alcuni concertati il risultato non era soddisfacente. Per contro non è possibile staccare un tempo così largo all'esecuzione di "Dalla sua pace" quando si ha a disposizione un tenore limitato, povero d'accento e corto di fiato, tale esecuzione avrebbero faticato a seguirla anche illustri e di riferimento nomi del passato, ormai defunti.
Adrian Sapetrean, il protagonista, ha una voce robusta e armonica, timbro ragguardevole, ma la tecnica precaria non gli ha consentito dii controllare e adeguare le rilevanti doti in un canto più forbito, seducente, con mezzevoci, fraseggi e colori più raffinati. Invece, pur nella solidità vocale, abbiamo avuto un personaggio a tratti violento, poco cavalleresco e nobile, nel quale in taluni momenti si riscontravano emissioni rauche e poco nitide. Inaccettabile l'esecuzione della serenata senza sensualità e armonici. Più composto il Leporello di Andrea Vincenzo Bonsignore, molto valido scenicamente quale succube del padrone, vocalmente ben impostato e molto valido nel fraseggio, peccato che la regia preveda sia balbuziente e questo in parte penalizza quanto c'è di buono in tale cantante che conferma anche ottime caratteristiche attoriali.
Valentina Mastrangelo, Donna Anna, è una cantante musicale e dotata di voce molto bella anche se il peso specifico non è efficacemente drammatico, il canto d'agilità non del tutto preciso e il recitativo talvolta debole. Tuttavia l'artista sfodera una buona scansione di colori e accenti, e nel complesso la prova è superata, con l'auspicio di future prestazioni più calibrate. Paola Gardina, Donna Elvira (al debutto nel ruolo), è senza dubbio la migliore interprete del cast. Cantante raffinata, precisa, dotata di una musicalità eccelsa, conferisce al personaggio un giusto equilibrio tra l'irruenza e il patetico, complice anche una voce brunita ma omogenea in tutti i registri. Ragguardevole la sua esibizione sia nei momenti di forza sia nei passi elegiaci, a tal proposito indicativo l'attacco di "Ah taci ingiusto core" nel II atto, ma tutto il ruolo è stato studiato con perizia sia musicalmente sia teatralmente e la prova è certamente di alto livello.
Molto discutibile la prova di Patrick Grahl, Don Ottavio, cantante con pessima dizione, voce metallica e non calibrata tecnicamente poiché erano evidenti sia acuti forzati sia intonazione precaria. Pregevole la Zerlina della giovane Irene Celle, ruolo che potrebbe riservarle in futuro approdi più lusinghieri giacché il materiale vocale c'è ed è anche ragguardevole, ma alcune lacune tecniche rendono disomogenea la sua prova. È penalizzata nell'aria “Batti, batti” da tempi troppo vorticosi ma considerata la giovane età aspettiamo fiduciosi.
Molto simpatico il Masetto di Davide Giangregorio, abbastanza rifinito vocalmente e con un buon tratto teatrale. Buona la prova del Coro diretto da Claudio Marino Moretti. Censurabile il Commendatore di Attila Jun, cantante con voce stentorea e ingolata.
Teatro completamente esaurito in ogni di posto, con un pubblico stranamente distratto durante l'esecuzione ma che al termine ha tributato un caloroso successo a tutta la compagnia.
Lukas Franceschini
24/10/2017
Le foto del servizio sono di Michele Crosera.
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