RECENSIONI
-

_ HOMEPAGE_ | _CHI_SIAMO_ | _LIRICA_ | _PROSA_ | _RECENSIONI_| CONCERTI | BALLETTI_|_LINKS_| CONTATTI

direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 

 

La virtù magica del Cavalier Gaetano

Don Pasquale di Donizetti a Bruxelles

Considerato il canto del cigno dell'appena quarantacinquenne Donizetti, da un quarto di secolo in carriera, Don Pasquale (Parigi 1843) non la conclude però a questo punto, ché seguiranno ancora nell'arco di un anno Maria di Rohan per Vienna, Dom Sébastien per Parigi e Caterina Cornaro per Napoli. Apoteosi del melodramma comico del primo Ottocento nonché stella di prima grandezza nel firmamento lirico, prima dei distanti e moderni Falstaff verdiano e Gianni Schicchi pucciniano, Don Pasquale non lascerà troppo in disparte l'irriverente e dissacrante Domino nero di Lauro Rossi (Milano 1849) né il beffardo e cinico Crispino dei Fratelli Ricci (Venezia 1850) pur diversi per indole e ispirazione.

Fresco di palcoscenico con un gran pienone di pubblico, il Don Pasquale della stagione in corso della Monnaie fa agevolmente dimenticare le poco fulgide edizioni precedenti.

Il merito dell'allestimento spetta anzitutto alla perspicace e assai cattivante lettura di Laurent Pelly, che immerge l'azione in un'atemporale contemporaneità persuasiva, giovandosi della scenografia lineare ed essenziale di Chantal Thomas: un cubo aperto verso il proscenio che rappresenta l'interno di un salone borghese, con il minimo arredamento e tutt'attorno le facciate delle case del quartiere. Si trasformerà nella seconda parte del primo atto nell'alquanto disordinato, modesto alloggio di Norina. Ritornato dimora di Don Pasquale - dopo le simulate nozze che sconvolgeranno in un batter d'occhio la placida quanto monotona esistenza dell'anziano scapolo, mentre si dilegua l'agognata felicità coniugale – il cubo si capovolge: le porte diventano alte finestre e la poltrona del padrone di casa finisce appesa al soffitto. Ben coordinato, in vivace fluidità, il gioco dei movimenti degli interpreti, abilmente calati nei rispettivi ruoli, resi personaggi autentici. Felici gli interventi di coro e comparse nel creare un colorito ed esilarante sfondo pittoresco.

Due cast ugualmente agguerriti si sono alternati sulla scena. Riferisco qui di una rappresentazione con protagonista Michele Pertusi. Da un trentennio lo seguo con una certa frequenza - l'ho visto quasi debuttare – dall'Assedio di Calais di Donizetti a Bergamo (1990) a Jérusalem di Verdi a Parma (2017), in emblematici ruoli seri donizettiani, rossiniani, verdiani. Per la mia prima volta a vederlo affrontare Don Pasquale resto semplicemente stupefatto: lui che è stato re, doge, patrizio, capopopolo, eremita, indossa, non per la prima volta, i panni dell'anziano celibatario romano, che gli cadono a pennello. Possiamo tranquillamente dimenticare i numerosi Pasquali prestigiosi visti o ascoltati finora: Don Pasquale è Pertusi. In possesso di uno strumento vocale vigoroso e flessibile, in grado di ogni sottigliezza e sfumatura, sfoggia disinvolto un'intelligenza interpretativa, una padronanza scenica e una verve ammirevoli. È ben coadiuvato dal Malatesta da manuale del baritono di casa Lionel Lhote, che si rivela eccellente contraltare dell'amico-paziente-pseudocognato nonché vittima, distillando con agile e saporoso timbro i toni cangianti del suo personaggio. Quanto ai due innamorati, freschi anagraficamente come nella realtà scenica Norina ed Ernesto, sono la spumeggiante e aggraziata Danielle de Niese (la mia sera ha cantato benché indisposta, ma non se n'è accorto nessuno malgrado l'annuncio preventivo), soprano pienamente a suo agio dalla maliosa aria di sortita, ai sapidi duetti, al concertato fino all'happy ending, in una girandola straordinaria di situazioni disparate a cui la musica calza come un guanto. Il tenore Joel Prieto incarna egregiamente un Ernesto mammone - già abbastanza viziato, si suppone, dal “burbero” zio – ma poco resistibile grazie alla bella presenza e all'eleganza delle sue arie poker. Fuggevole ma gustosa l'apparizione di Alessandro Abis quale improvvisato notaio. Il coro era quello della casa, affidato a Martino Faggiani, e mi sembra che basti. Ha diretto Alain Altinoglu con agile e leggiadra bacchetta, ben secondato dall'attenta orchestra della Monnaie, esaltando, sin dalla scintillante ouverture, i vari momenti della preziosa partitura, trasportato lui stesso dalla magia dispiegata dal Cavalier Gaetano.

Fulvio Stefano Lo Presti

16/1/2019

Le foto del servizio sono di Baus/De Munt La Monnaie.