RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

In memoriam

Un musicista che commemori la morte di un collega è cosa nobile e piuttosto diffusa. Si pensi al Requiem voluto da Verdi per la morte di Rossini, progetto poi naufragato (e che Verdi riesumò qualche anno dopo per la morte di Manzoni). Naufragato forse per l'ambiziosità del progetto di riunire undici compositori a lavorare ciascuno su un brano del testo latino, assemblando poi a mente fredda i contributi, alla stregua di come Donizetti, Coppola, Mercadante, Pacini e Vaccaj avevano fatto lavorando “a dodici mani” alla Cantata In morte di Maria Malibran (Teatro alla Scala, 17 marzo 1837). Animata dallo stesso spirito, ad esempio, la principessa Cristina Trivulzio di Belgioioso chiese di ricordare degnamente l'amico Vincenzo Bellini: ne nacque, tra il 1836 e il 1837, l'Hexaméron, sei variazioni per pianoforte su Suoni la tromba, e intrepido, ad opera di Franz Liszt, che coordinò l'iniziativa e chiese a Thalberg, Pixis, Herz, Czerny e Chopin di scrivere una variazione a testa.

Ma prima dell'iniziativa della principessa, ci aveva già pensato Gaetano a rendere omaggio a Vincenzo: la notizia della prematura scomparsa di Bellini a Puteaux, il 23 settembre 1835, non fece in tempo ad arrivare in Italia, che già nello stesso autunno Donizetti si era dato anima e corpo a comporre un Requiem. Era però nel pieno della sua carriera di operista (e del suo mandato di direttore artistico del Teatro San Carlo di Napoli, carica che tenne dal 1822 al 1838) e, probabilmente per tener dietro alla messiscena della Maria Stuarda alla Scala, presentata il 30 dicembre di quello stesso anno, lasciò il Requiem incompiuto. La sua esecuzione, probabilmente già programmata al Conservatorio di Napoli, saltò. Sembra tuttavia che sia stato eseguito nella chiesa di Santa Maria Maggiore di Bergamo il 28 aprile 1870 sotto la direzione di Alessandro Nini, a seguito della prima pubblicazione della partitura (Lucca, versione per organo e solisti).

In tempi recenti la Messa di requiem per cinque solisti, coro e orchestra in re minore (la stessa austera tonalità del Requiem mozartiano) “in memoria di Vincenzo Bellini” ha iniziato ad avere circolazione, in incisioni ed esecuzioni dal vivo, arrivando ad essere cantata da artisti del calibro di Luciano Pavarotti (Orchestra e Coro Ente Lirico Arena di Verona, 1980, Gerhardt Fackler direttore); circolazione in ogni caso modesta e neanche lontanamente paragonabile con quella dei titoli più famosi del suo autore, Lucia, Elisir e pochi altri.

Si deve sottolineare, però, che molte esecuzioni sono state condotte su un testo non del tutto aderente all'originale. Recentemente la partitura è stata revisionata, su incarico della Fondazione Donizetti, dal musicologo Valeer De Vlam (Bruges, 1937) per restituire di questa musica una versione più fedele all'originale, epurata da contaminazioni posteriori. Un lavoro ecdotico condotto con sapiente perizia, che ammoderna e supera l'edizione curata nel 1976 da Vilmos Leskò sempre a partire dal manoscritto originale, conservato a Napoli nella Biblioteca di San Pietro a Maiella. Una vera e propria riscrittura filologica. In questa nuova veste ha ricevuto la sua prima esecuzione assoluta il 19 aprile 2002 nella Basilica di Notre Dame di Laeken a Bruxelles, diretta da De Vlam stesso (chissà se lo spirito di Maria Malibran, sepolta nel cimitero lì accanto, avrà approvato, lei che interpretò diversi ruoli tanto di Donizetti quanto di Bellini?).

Tale veste più fedele all'originale ha ricevuto il suo battesimo italiano domenica 4 novembre 2018 nella Sala dei Teatini di Piacenza, ex chiesa di San Vincenzo (scelta anche dall'Orchestra Giovanile “Luigi Cherubini”, diretta da Riccardo Muti, a motivo della sua ottima acustica). Una data senza dubbio significativa, il 4 novembre 2018, per il giorno, il mese e l'anno. Per il giorno, perché il 3 novembre 1801 nacque Bellini e il 4 fu battezzato. Per il mese, che vide nascere Donizetti stesso, il 29 novembre 1797 (e morire Rossini, il 13 novembre 1868). Per l'anno, perché nel 2018 ricorre il 170° anniversario della morte di Donizetti (8 aprile 1848) e il 150° di quella di Rossini. E soprattutto, il 4 novembre 2018 è il centenario della fine della prima guerra mondiale, per l'Italia Festa delle Forze Armate. Un Requiem eseguito in questa data assume quindi molteplici significati, che trascendono il pur importante evento di una prima italiana a tutti gli effetti (per lo meno dell'intera partitura: il Dies iræ è stato eseguito separatamente a Roma, nella Basilica di San Pietro in Vincoli, il 18 novembre 2002, sotto la direzione di Paolo Falconi).

Promossa dal Centro Musicale Tampa Lirica di Piacenza e preceduto dall'interessante prolusione del noto musicologo Fulvio Stefano Lo Presti, il Requiem di Donizetti ha preso vita nell'interpretazione di Svetlana Kalinichenko, soprano, Daniela Ruzza, mezzosoprano, Andrea Galli, tenore, Juliusz Lorenzi e Agostino Subacchi, bassi, della Corale Polifonica “Angelo Gavina” di Voghera e dell'Orchestra da Camera di Voghera, tutti diretti dal maestro Michele Viselli.

Doveroso qualche appunto a margine di un'esecuzione che si impone per la cura del dettaglio e il coraggio di avvicinare una partitura ancora sconosciuta; appunti che si concretizzano in note non sempre ben emesse nella sezione degli ottoni (corni, trombe), in un timpano talvolta troppo insistito, preponderante rispetto al suono complessivo, e in archi non sempre ben accordati. Esecuzione non perfetta, quindi, ma carica di emozione, di passione, di dedizione da parte non solo degli strumentisti, ma anche da parte dei cantanti. La Corale Polifonica “Angelo Gavina” dimostra serietà, compitezza, un coro sicuro e compatto dal quale ci si aspetta e si ottengono risultati notevoli: particolarmente d'effetto il Dies iræ e il Libera me, Domine conclusivo, con quell'avvio fugato che fa ripensare a tanta musica sacra tedesca, Haydn e Mozart in testa.

Svetlana Kalinichenko dà il meglio di sé nel Recordare, interpretato con intimismo; assieme a Daniela Ruzza ha il pregio di fondersi a meraviglia col quintetto solistico e di prender parte discretamente ai pezzi d'insieme. Per contro Andrea Galli, tenore dal timbro chiaro e di agilità, a suo agio in questo tipo di repertorio (ben eseguito l'Ingemisco, dal tono patetico e teatrale), emerge nelle pagine d'ensemble con una punta di protagonismo di troppo, soprattutto nel Te decet: difetto che, nel proseguire dell'esecuzione, perde, per affiatarsi omogeneamente con le altre voci. Protagonisti più vivaci del Requiem, cui Donizetti affida pagine splendide, sono i due bassi, Agostino Subacchi, voce scura, importante, chiamata spesso a dar manforte nei brani più complessi, e soprattutto Juliusz Loranzi, dal timbro più chiaro, basso-baritonale, a cui viene demandato il ruolo solistico preponderante, ruolo che sostiene con perizia fino alla fine, dando prova di una corretta intonazione, sebbene non di troppa espressività – lato sul quale, lavorandoci, potrebbe ottenere risultati di qualità ottima. Apprezzabile soprattutto l'Oro supplex, che ha solo minimamente risentito di un volume vocale non abbastanza importante per le arcate melodiche donizettiane che ricordano, neanche troppo da lontano, la pacata maestosità del Sarastro mozartiano dell'aria In Diesen Heil'gen Hallen.

Christian Speranza

19/11/2018