Barcellona
Dallapiccola e Puccini
La stagione del Liceu è finita, almeno quella ufficiale, con un programa che potrebbe in principio sembrare strano perchè abbinava, come già a Madrid, un allestimento de Il prigioniero di Dallapiccola (già visto anche a Parigi) con uno nuovo della Suor Angelica pucciniana. Non così strano poi se si pensa alla situazione dei rispettivi protagonisti, anche se forse mostrare tutto il convento come una prigione può essere discutibile, ma è chiaro che Angelica non ci sta per volontà propria. Le speranze deluse, ultima beffa in una vita disperata, sono l'elemento ‘ponte' fra le due opere del secolo scorso di ben diverso orientamento estético nonché ideologico.
Il prigioniero era una prima per il Liceu (e menomale) ma una parte del pubblico abituale sembra ancora – per certi commenti, non per gli applausi che alla fine erano molti ma non del tutto convinti – rifiutare la possibilità di un teatro lirico di soggetti e ‘commento' musicale diversi dagli ‘abituali' (tutte queste virgolette già la dicono lunga). Se neanche i capolavori di Berg sono molto graditi, al massimo tollerati figuriamoci un titolo di soli cinquanta minuti che parla di libertà, religione e politica, dove Filippo Secondo di Spagna è uno con il carceriere e il Grande Inquisitore. Qui la messinscena, che si avvaleva della scena unica di Paco Azorín per le due opere, risultava davvero straordinaria e l'intensità di canto ed interpretazione non solo dei tre principali ma anche dei due ruoli minori veniva sottolineata in un modo che se non si hanno pregiudizi provocano malessere, angoscia, sdegno in parti uguali.
Molto bene qui il maestro Edmon Colomer e l'orchestra del Teatro. Interessanti i sacerdoti di Albert Casals e Antoni Marsol. Commovente nella parte impervia della Madre il soprano Jeanne-Michèle Charbonnet, il cui acuto parecchio aspro qui non era un demerito. Evgeni Nikitinlo ricordava più un bassobaritono ma qui la voce, tanta, era decisamente baritonale e se non troppo sfumata nè particularmente bella il suo prigioniero strappava i maggiori applausi. Difficile anche la parte del tenore (Inquisitore e carceriere), un Robert Brubaker come al solito eccellente cantante e superbo attore; ha scelto la parte più difficile e più avara di applausi e di notorietà, ma tant'è.
Nella seconda parte invece l'orchestra seguiva con poco slancio e lirismo i cantanti in una versióne parecchio sbiadita seppur corretta. Come al solito sugli scudi la prova del coro femminile del Teatre; tutte le recite sono dedicate per ringraziare al maestro Basso che parte per Parigi e al precedente direttore artistico del Teatro, Joan Matabosch, definitivamente ora a Madrid.
Le parti comprimarie venivano affrontate dignitosamente ma nessuna in modo spiccato, e la Genovieffa di Auxiliadora Toledano, ben cantata, era di volume alquanto scarso. Dolora Zajick s'imponeva vocalmente come la Principessa, anche se il suo comportamento scenico non era molto 'regale' e forse anche la messinscena non l'aiutava: lo scontro con la nipote quasi non c'era e non era il caso che s'inginnocchiasse su un reclinatorio per parlare dei suoi cari defunti. Maria Agresta la troviamo quasi dovunque (qui sostituiva Barbara Frittoli – nessuno ha spiegato perchè) e indubbiamente la voce è importante: se ha un timbro che la rende subito riconoscibile io non sono capace d'individuarlo. Canta molto bene, nella linea della tradizione italiana, ma se gli accenti sono giusti è vero anche che sono generici e convenzionali; neanche lei è molto signorile come attrice e se le mezze voci (difficilissime) sono ben presenti l'estremo acuto è sempre un po' aperto e metallico. Entrambe hanno avuto un trionfo.
Jorge Binaghi
27/6/2014
Le foto del servizio sono di Antonio Bofill.
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