Roma
Inizia la stagione con un difficile Berlioz
Berlioz non ha titoli facili, ma la sua Damnation de Faust è indubbiamente il più ibrido, leggenda drammatica piuttosto da apprezzare in concerto che in forma scenica. Merito doppio quindi del ‘nuovo' Costanzi che riprende i suoi diritti di teatro di riferimento, in Italia ma forse non solo. Si tratta della prima volta di una coproduzione con Valencia e Torino per la regia di Damiano Michieletto, forse l'italiano più famoso e internazionale in materia lirica. Si tratta di un artista estroso (forse troppo), normalmente alquanto eccessivo, e qui i buh non sono mancati. Ma la musica di Berlioz lo è parecchio, di eccessiva, e quindi se l'allestimento ci presenta un'altra storia coerente può andare anche bene... Qui si tratta di un adolescente alle prese con il duolo per la perdita della madre, di rapporti difficile con il padre, schernito dai compagni di scuola (la scena di bullismo durante la famosa Marcia è raccapricciante), con un diavolo cinico e mondano che sta proprio dentro di lui e ne combina di tutti i colori. Marguerite non è tanto una vittima innocente quanto una ragazza che risponde alla chiamata dell'amore, un sentimento che evidentemente per Berlioz è in rapporto con la morte e risulta, quanto meno, ambiguo. Azzeccati scene e costumi di Paolo Fantin e Carla Teti, ottime le luci di Alessandro Carletti, e fondamentali le riprese in video (Rocafilm).
Il regista ha lavorato d'accordo con Daniele Gatti e gli artisti. Il maestro Gatti ha dato una lettura molto coinvolgente della straordinaria partitura, più raccolta del solito senza perdere di vista l'espressività e il volume quando bisognava, e l'orchestra del Teatro gli ha risposto a ogni esigenza in grande forma. Roberto Gabbiano è riuscito a fare che il Coro del Costanzi si facesse onore in una parte lunga e impervia – ottima idea quella della regìa di lasciarlo seduto in fondo come in un concerto.
Pavel Cernoch faceva uno sforzo immane per riuscire nella terribile parte del protagonista. Credo che il tenore sia più adatto a altri ruoli, e di repertorio italiano. Gli manca la flessibilità e la possibilità di realizzare una voce davvero mista, e non falsetti incomodi e poco eleganti, ma come interprete era molto valido. Alex Esposito debuttava come Mefistofele e, come nel caso della sua presa di ruolo dello stesso diavolo in Gounod, i risultati erano ottimi: ironico, travolgente, con tutte le sfumatore che si chiedono a un diavolo alla francese, straordinario nel fraseggio e nell'azione. Veronica Simeoni rivestiva per la prima volta i panni di Marguerite e lo faceva in modo davvero ammirevole. La voce correva facile, le due grandi arie erano piene di emozione e di senso, ottimo francese e un'interpretazione intensissima visto anche quanto le chiedeva la regia. Bene Goran Jurick in un Brander alla Elvis. Molto pubblico e, tranne le proteste cui ho accennato prima, un grande successo e un grande silenzio durante tutta la serata senza pausa alcuna, di una carica emotiva enorme dall'inizio alla fine.
Jorge Binaghi
24/12/2017
La foto del servizio è di Yasuko Kageyama.