Madrid
Non abbiamo sofferto abbastanza, tutti?
Non si potrà dire del Teatro Real che non presenti una programmazione ben bilanciata tra classico e moderno. La prima in Spagna di Dead man walking sul famoso film diretto da Tim Robbins con la Sarandon e Penn è stato un vero e proprio successo di pubblico e critica. Il libretto è del ben noto Terrence McNally (Master Class; è un vero patito dell'opera) e la musica di Jake Heggie, che ha scritto dopo anche un altro titolo all'intenzione di Joyce Di Donato, come ai vecchi tempi. Detto successo non è stato dovuto solamente alla più che notevole versione scenica lo stesso allestimento della New York City Opera, per la regia di Leonard Foglia, incisiva e con un'atmosfera molto azzeccata, e delle luci formidabili di Brian Nason, ma anche e direi soprattutto al testo, che si poteva seguire parecchio bene grazie anche alla scrittura musicale, e alla stessa musica, che non sarà magari rivoluzionaria (se bisogno ancora c'è), ma riprende molto bene la grande tradizione della musica degli Stati Uniti senza dimenticare nomi quali Britten, Ravel o perfino Strauss.
Dirigeva Mark Wiglesworth, che non vedevo da tempo, e la sua è stata una bacchetta sicura, forse sottolineando troppo, più di una volta, i forte della partitura che non sono pochi ma è stato un eccellente lavoro, come quello dell'orchestra e coro del Teatro (quest'ultimo istruito da Andrés Máspero) e anche dei Piccoli Cantori dell'Orcam, preparati da Ana González.
Ci sono due chiari protagonisti, come nel film, la sorella Helen Prejean e l'assassino che paga con la vita alla fine (iniezione letale), Joseph De Rocher: come si sa, si tratta purtroppo di storia vera. Ma anche una coprotagonista, la madre del condannato. Ma tutti i ruoli, grandi o piccoli, sono scritti con cura per la voce, e si possono trovare arie, recitativi, duetti e perfino un concertato. Va detto anche che l'enfasi qui non viene messa tanto sulla pena di morte quanto sulla storia personale della redenzione dell'uno e del superamento delle contraddizioni dell'altra e sulla sofferenza di tutti quanti.
Joyce Di Donato era splendida come Helen, e il vibratello che si osserva nell'acuto molto presente qui non dava per niente fastidio, anzi. Al suo stesso livello va collocata l'interpretazione del suo antagonista , il bravo baritono Michael Mayes. Maria Zifchak era notevole come la di lui madre, benché sembri piuttosto un soprano che non un mezzo. Il personaggio che segue in importanza è la monaca confidente di Helen, Sister Rose, molto bene interpretata da Measha Brueggergosman alcuni ruoli come questo tendono a presentare una tessitura molto acuta, e forse potrebbe non esserlo così tanto. Era anche questa la volta almeno per quanto io abbia visto delle loro prestazioni dove più brillavano il tenore Roger Padullés (il sacerdote del carcere), e i baritoni Damián del Castillo (lo sceriffo) e Toni Marsol (eccellente Owen Hart, il padre della ragazza uccisa). Peccato che Vicenç Esteve (Boucher, l'altro padre) avesse meno da cantare. Le rispettive madri degli assassinati e stuprati erano una brava María Hinojosa, anch'essa molto sollecitata in zona acuta, e Marta de Castro, con interventi meno importanti, ma molto corretta. Enric Martínez-Castignani sta diventando un caratterista molto richiesto, qui in due parti: il poliziotto che pretende di multare la sorella che corre troppo con la sua auto (simpatico personaggio) e lo sgradevole primo guardiano del carcere; il secondo di questi era un bravo Tomeu Bibiloni. C'erano altri ruoli piccoli, tutti perfetti, e due più che notevoli attori nei panni della coppia assassinata nella fortissima prima scena dell'opera: Diana Samper e Manuel Palazzo.
Jorge Binaghi
6/2/2018
La foto del servizio è di Javier del Real.
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