RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Valencia

Una buona Forza in una situazione difficile

Il Teatre de les Arts, con la facciata già segnata malgrado la recente data di costruzione (quanti soldi, non so se sprecati), ha fatto per una decina d'anni il bel tempo degli abitanti e dei visitatori, ha saputo formare la migliore orchestra – non solo di opera – di tutta la Spagna e ha saputo attirare nomi importanti, anche di grandi maestri. In un primo momento Maazel e Mehta, adesso solo Mehta, che a quanto pare non sarebbe in grado di seguire vista la precarietà della situazione, mentre i professori dell'orchestra incominciano a partire e i titoli si riducono.

Gli applausi omerici a ogni presentazione di Mehta sul podio durante la recita e alla fine de La forza del destino di Verdi in un nuovo allestimento per il Festival del Mediterraneo (che rischia di sparire) e qualche grido isolato (‘Resta, Maestro!') rendevano bene l'idea dello stato di animo del pubblico, molto folto, benché ci fossero dei posti vuoti man mano che si saliva.

Si diceva della competenza dell'orchestra. I giovani professori suonavano con dedizione e ovviamente il loro rapporto con Mehta è privilegiato. Ciò detto, e messa da parte l'indubitabile capacità tecnica del Maestro, continua a sembrarmi che Verdi non sia un autore particolarmente adatto a lui. Incominciare con dei ritardando la sinfonia o i tempi scelti per le parti corali parlano di una visione ‘neutrale' della musica ed il melodramma verdiano, che non sembrano l'approccio migliore. Certamente se ci fu un attimo di smarrimento nel concertato con il coro di pellegrini, nel secondo atto i cantanti venivano sempre sostenuti dalla bacchetta e nessuno, mai, veniva coperto dall'orchestra, e non è poco, oggi come oggi.

Il coro della Generalitat Valenciana istruito da Francesc Perales contribuiva non poco al buon risultato della serata.

La regia di Davide Livermore, responsabile anche per le scene, raccontava la vicenda per sommi capi durante la sinfonia. Dall'esclusione di ogni riferimento alle scene del coro si capiva già che era la cosa che sarebbe stata meno fortunata: in effetti è chiaro che Livermore non ci crede o non sa cosa farne e sia a Hornachuelos che a Velletri abbiamo avuto molto rumore per nulla. Decisamente meglio le scene ‘intime' sia a casa del Marchese di Calatrava o al convento. Se qualche auto o rivoltella sembravano poco adatte (‘calpestío di cavalli', ‘un brando'), il rapporto tra i personaggi era credibile e molto drammatico. E per la prima volta ho visto Liudmila Monastirska che cercava di recitare; non che sia stato molto esaltante il risultato ma era comunque un grande passo in avanti. Vocalmente il soprano era un fenomeno e se Harteros è artista e cantante molto più fine e sfumata, il volume e l'omogeneità del timbro della Monastirska sono impressionati. Forse sarebbero da desiderare dei piani più eterei, ma c'erano tutti, inappuntabili.

Grandissimo Gregory Kunde, un Alvaro come da tempo non sentivo, sicurissimo, forse con un colore non ideale (soprattutto in centro) ma con un fraseggio e una baldanza che spiegavano il delirio dopo la sua grande aria. E artista molto impegnato. E poi il signor Kunde, da vero cantante, è una garanzia quasi scontata: se c'è lui sarà difficile trovarsi con malattie varie che affliggono sempre in grande quantità anche la star numero uno dei tenori odierni e impediscono a lui o loro di presentarsi alla ribalta.

Finalmente qualcuno ha capito che Preziosilla – piaccia o non il personaggio o la sua musica – richiede un grande e vero mezzosoprano (era uno dei ruoli della Simionato, no?). Ekaterina Semenchuk è stata magnifica anche se non si sapeva bene se fosse un'indovina, una star in tournée per consolare i soldati: capisco che al regista o a tanti non piaccia il ‘Viva la guerra!' ma è quel che dice lei, favorevole alla guerra fra popoli, e non pare possibile una lettura ironica o ‘a contrario' – che è puntualmente quel che avviene quando si vedono corpi massacrati o l'ingresso degli alleati in città italiane. Grande prova.

Stephen Milling è un ottimo basso, interprete di grande distinzione. Purtroppo il suo repertorio ‘naturale' è quello tedesco e se le singole frasi e i recitativi erano un piacere, quando il cantabile e la flessibilità diventavano di dovere l'interprete faceva tutto il possibile senza troppo riuscirci. Ma il Guardiano ne ha bisogno, e più di una volta.

L'esatto contrario di Simone Piazzola, bellissima voce che potrebbe essere fra qualche anno un bravissimo Carlo di Vargas: adesso fa la voce grossa ma i gravi non sono sempre presenti e dovrebbe ripensare la cabaletta perchè anche una sola volta metteva a dura prova il suo fiato per arrivare a un acuto finale stentato. Interprete discreto, l'elemento più mancante però era il fraseggio, praticamente inesistente: non è che il personaggio sia, mettiamo, un Rodrigo, e con un canto meraviglioso magari lo si risolve quasi tutto, ma d'altronde neanche Amonasro si risolve con il volume.

Valeriano Lanchas era un Melitone simpatico, che cercava troppo di dimostrare che ha anche gli acuti e il risultato è che più di uno era rigido o chiaramente forzato, ma la voce è importante e l'artista si dà da fare; peccato che dopo la sua grande scena all'inizio dell'atto quarto non ci fosse il duettino con il Guardiano.

Discreto il Marchese di In-Sung Sim (non troppo basso) e alterni i comprimari. Peccato che il migliore (o che lo sembrava), Mario Cerdá, venisse privato della scena di Mastro Trabuco nell'atto terzo, dove anche, a parte qualche piccolo taglio senza importanza, mancava quel monumentale coro che è ‘Compagni, sostiamo'. Successo incandescente per tutti a fine spettacolo.

Jorge Binaghi

15/6/2014

Le foto del servizio sono di Tato Baeza.