All'Opera Dido & Aeneas
secondo Sasha Waltz
La peculiarità di Dido and Aeneas consiste nella sua invenzione stilistica, in grado di coniugare l'antico e il moderno in maniera assolutamente inedita, mescolando tradizioni diverse fra loro come quella del masque elisabettiano, del melodramma italiano e della tragèdie lyrique francese. Come un sapiente incantatore Henry Purcell getta questa sovrabbondante materia nel vaso alchemico della propria ispirazione, ottenendo un risultato sorprendente. La sovrabbondanza barocca si dissolve come per magia, lasciando spazio a un toccante intimismo, a una immediatezza espressiva che ha del miracoloso. La modestia della commissione traccia le coordinate di un lavoro dalla drammaturgia scarna ed essenziale, concepito per i limitati orizzonti di un collegio femminile ubicato nel quartiere londinese di Chelsea, il cui direttore era maestro di danza e coreografo. Tanto più coerente e in linea con la volontà originaria del compositore appare dunque lo spettacolo costruito da Sasha Waltz nel 2005, ripreso oggi dal Teatro dell'Opera di Roma.
Condivisibile l'idea di ripristinare il prologo, del quale purtroppo non è sopravvissuta la musica. Una lacuna alla quale si è ovviato utilizzando brani dello stesso Purcell. Danzatori si tuffano e agiscono in una piscina sospesa sul palcoscenico, uno dei momenti più alti della serata. Vengono in mente tanti allestimenti del ring wagneriano, che non a caso si apre e si chiude sull'elemento acquatico quale sostanza immaginativa e simbolo di rigenerazione. Il mare in Dido and Aeneas è luogo di esistenze erratiche, il viaggio è espiazione e perdita. Suo malgrado Enea è spinto a partire dal comando della strega, apparsa nelle sembianze di Mercurio. Il desiderio d'amore si mostra irrealizzabile. Didone viene abbandonata al proprio tragico destino, mentre l'eroe riprende il suo viaggio. Come nella visione del poeta Wystan Auden, il mettersi in mare non è atto completamente volontario, ma appare quasi come il compiersi del fato. L'acqua seduce e minaccia ed è metafora di procelle interiori. Nella sua liquida essenza il desiderio di dissoluzione e gli aneliti alla rigenerazione si sposano, nella sua fluida enigmaticità si compie il legame fra l'uomo e l'universo.
Più opinabile il lungo intermezzo centrale privo di musica, nel quale i personaggi appaiono come anacronistici viaggiatori appena sbarcati, abbigliati con vesti dalle fogge più strane. Ad un certo punto improvvisano una sorta di lezione di danza, una pantomima comunque svolta con gusto e spiccato senso dell'umorismo. Unica pecca quella di turbare i perfetti equilibri di un'opera tutta giocata sulla continuità musicale e drammatica.
Lo spettacolo della Waltz coniuga sapientemente la danza moderna con i macchinismi tipicamente barocchi (le botole dalle quali fuoriesco gli abitanti del mondo infero, le gru sulle quali gli attori spiccano il volo). Lo sdoppiamento dei protagonisti risponde a una logica che intende intensificare la forza del gesto e del sentimento che gli è proprio. La temperie emotiva della separazione viene ad esempio accentuata dalla presenza di due danzatori, i quali cercano disperatamente di toccarsi tendendo all'estremo i propri corpi. Di grande intensità il lamento conclusivo, durante il quale Didone sembra lottare con la coltre di capelli nella quale a poco a poco scompare il suo volto.
Di gran classe l'esecuzione musicale. Nelle mani di Christopher Moulds il tessuto strumentale, affidato alla Akademie für Alte Musik Berlin, risalta in tutto il proprio cristallino nitore. Ottimi tutti gli interpreti, in particolare Aurore Ugolin (Dido), Reuben Willcox (Aeneas), Deborah York (Belinda) e Céline Ricci (seconda donna).
Teatro pieno anche all'ultima recita e grande successo di pubblico.
Riccardo Cenci
20/9/2016
Le foto del servizio sono di Yasuko Kageyama.
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