RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

9/4/2016

 

 


 

L'analitica luminosità di Salonen

Personalità fra le più complete dell'attuale panorama musicale quella di Esa-Pekka Salonen, direttore formidabile ma anche apprezzato compositore, attività alla quale dedica in massima parte il suo tempo. Il gesto elegante, la tecnica prodigiosa, la maestria architettonica lo pongono ai vertici dell'arte direttoriale. In occasione del concerto al Teatro dell'Opera di Roma, prima tappa di una tournée italiana che comprende Lucca e Milano, ha mostrato un afflato comunicativo insospettato nei confronti del pubblico, a dispetto degli stereotipi relativi alla presunta freddezza nordica. Undici anni sono trascorsi dalle sue ultime apparizioni al Costanzi, sempre alla guida della londinese Philharmonia Orchestra. Allora due diverse serate e due programmi distinti; chi scrive aveva assistito al secondo appuntamento, dedicato alla Settima di Beethoven e alla Sagra della primavera di Stravinskij, ricordo pressoché indelebile.

Altrettanto straordinario il risultato raggiunto nella presente occasione. Il Concerto per orchestra di Bartók è un complesso meccanismo sonoro, che Salonen esplicita nelle sue più minute articolazioni. La denominazione rimanda appunto a un uso concertante dei singoli strumenti, dipanato con assoluta chiarezza. Opera dell'esilio americano, non esente da gestualità estroverse legate al nuovo contesto geografico, il Concerto è un lavoro importante, pregno di nostalgia per il patrimonio musicale del vecchio continente. Il percorso espressivo conduce l'ascoltatore dalla mestizia dell'incipit all'affermazione vitalistica della conclusione. Bartók riesce nell'arduo compito di costruire una struttura unitaria, pur nell'eterogeneità dei mezzi e delle tecniche impiegate. Cinque i movimenti, disposti in maniera simmetrica. Al centro una Elegia di oscuro lirismo, circondata da due movimenti animati da atmosfere ludiche e giochi orchestrali. Agli estremi due tempi complessi, l'Andante di apertura dalle oscillanti sfumature espressive e il Finale, colmo di ritmi incalzanti e di virtuosistici intrecci di danze popolaresche. La lettura di Salonen rende in maniera esemplare tanto i momenti corruschi quanto le esplosioni dionisiache, in un controllo del suono totale. L'inizio è pervaso da una luce aurorale, come se la materia sonora nascesse dal nulla. La cura del dettaglio, orchestrata con somma maestria, non inficia la tensione complessiva dell'arco narrativo, la sua intima coerenza. Merito anche della Philharmonia Orchestra, formidabile in tutte le sue sezioni. Con Sibelius il direttore finlandese si trova sul suo terreno d'elezione. L'adesione alla complessa sensibilità del compositore è esemplare, dai languori di ascendenza cajkovskiana alle notazioni paesaggistiche tipicamente nordiche. Anche in questo caso l'analisi accurata non è sinonimo di frammentarietà o di freddezza; al contrario, la struttura sinfonica emerge in tutta la sua romanzesca emotività, senza scadere mai nel sentimentalismo.

Esecuzione sfavillante, di abbagliante nitore. Dicevamo della comunicatività di Salonen il quale, padroneggiando piuttosto bene il lessico italico, ha introdotto i due bis; la Tregenda da Le Villi di Puccini e Alla marcia da Karelia di Sibelius. Entusiasmo alle stelle in una sala piena ma non gremita come l'occasione avrebbe meritato.

Riccardo Cenci

11/11/2024

La foto del servizio è di Fabrizio Sansoni-Teatro dell'Opera di Roma.