Shostakovich
La musica come verità
“In musica non ho scritto nemmeno una nota che non corrisponda a quello che penso”, parole che Šostakovic rivolse a Evtuscenko e che ben definiscono la poetica del compositore, la sua vocazione alla verità. Questo carattere di autenticità, pagato a caro prezzo, è il marchio della sua musica. Percosso dall'ideologia imperante, Šostakovic abbandona il genere teatrale in favore della produzione sinfonica, per poi ripiegare in ambito cameristico, ancor più elusivo di fronte alle imposizioni del regime. Tutta la sua musica è intrisa di un clima di tragedia, oscurata dall'ombra possente del totalitarismo. Anche la Settima Sinfonia, in apparenza celebrazione della vittoria sul nazismo, non sfugge a questa regola, il che è risultato evidente nella lettura che Tugan Sokhiev ha offerto di questa straordinaria composizione a S. Cecilia.
Il direttore russo edifica l'immensa costruzione sonora a mani nude, plasmando il suono con una gestualità che, a tratti, ricorda quella di Temirkanov. Il suo fraseggio è corposo, intriso di sostanza drammatica. Sgombrato il campo da qualsiasi orpello retorico e trionfalistico, il tessuto sinfonico appare percorso da un turbamento inestirpabile. Senza voler negare le circostanze belliche durante le quali l'opera venne alla luce, e il loro peso sull'economia della partitura, siamo di fronte a un affresco ben più complesso. “Leningrado”, città proteiforme, metamorfica sin dalle diverse denominazioni succedutesi nel tempo, è la città natale del compositore, prodigio architettonico avvolto in brume evanescenti. Se il punto di partenza origina dalla realtà, come nel romanzo che Belyj dedicò a Pietroburgo, tutto risalta come in un teatro spettrale popolato di suoni. Si pensi a quella sorta di enigmatica danza che apre il Secondo movimento, in seguito immersa in caustiche atmosfere di stampo mahleriano. Nella lettura di Sokhiev la Settima risalta in tutta la sua complessità cromatica, grazie anche alla prova maiuscola dell'Orchestra dell'Accademia. Chi scrive ricorda ancora la Settima diretta da Gergiev nel 2006 per i concerti di S. Cecilia, direttore bandito dopo l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, per la sua vicinanza a Putin.
Se la memoria non ci tradisce, l'esecuzione odierna ci è parsa ancor più memorabile, e Sokhiev ci sembra davvero il più grande direttore russo del nostro tempo. La sua lettura lascia un segno indelebile. Siamo di fronte a un epicedio per le vittime di ogni conflitto, a un lamento per le tragedie che, oggi come allora, funestano il nostro fragile e devastato mondo. Sokhiev appare quasi timido nel ricevere gli applausi; preferisce mescolarsi all'orchestra, additando le varie sezioni strumentali, evidenziando il lavoro delle prime parti. Quando sale per un breve istante sul podio, per accogliere il meritato tributo, lo fa con un riserbo colmo di rara modestia.
Riccardo Cenci
12/6/2024
La foto del servizio è di Patrice Nin.
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