RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Susanna va a scuola guida

Con la cucina del teatro talvolta accade: gli ingredienti sono selezionati con giudizio, ma il risultato lascia a desiderare. Al Teatro Pergolesi di Jesi va in scena un dittico novecentesco separato da mezzo secolo (il 1909 del Segreto di Susanna, il 1959 della Scuola di guida) sotto il segno dell'ironia affabile e d'una bonaria surrealtà, dove le due operine vengono shakerate in una drammaturgia unica, facendo della fumatrice in incognito concepita da Ermanno Wolf-Ferrari e dell'aspirante automobilista pennellata da Nino Rota due facce d'uno stesso medaglione muliebre a caccia di emancipazione. O, forse, semplicemente alla ricerca di un quotidiano meno borghese e meno noioso.

Quindi niente intervallo, stessa interprete femminile, l'idillio musicale di Rota posto a mo' di prologo del più articolato “intermezzo” di Wolf-Ferrari: come se quel frontale contro l'ippocastano su cui si chiude la lezione automobilistica, coronato da una macchina distrutta ma pure da un lungo bacio tra allieva e maestro rimasti illesi, fosse un sogno (o un incubo) del marito di Susanna, che pone le premesse della sua compulsiva gelosia. Anche se poi il Segreto eponimo della mogliettina non sarà quel piacente istruttore di guida, ma solo il vizio del fumo. D'altronde, nel sentire comune, Wolf-Ferrari e Rota sono entrambi compositori passatisti: l'uno alla ricerca di un paradiso perduto settecentesco (la triangolazione soprano-baritono-servo muto del Segreto di Susanna discende dritta dritta dalla Serva padrona), illuministico, goldoniano; l'altro sordo, in pieno dopoguerra, alla sirena di quella musica “darmstadtiana” – impegnata, ideologizzata, preventivamente antitradizionale – al di fuori della quale veniva tolta, a chi componeva, la patente di “autore”. Dunque, ricondurre questi loro atti unici a una sorta di medesima opera poteva essere un esperimento.

Il rischio, così facendo, è però omogeneizzare due partiture di spessore diverso: se è vero che né Wolf-Ferrari né Rota salgono in cattedra, sta di fatto che la sapienza dell'orchestrazione del primo, certe trasparenze quasi debussyste, i cromatismi del clarinetto che restituiscono in forma di suono le volute di fumo della graziosa tabagista fanno del Segreto di Susanna un gioiello di cui il garbato disimpegno della Scuola di guida non può restituire le preziosità. E sebbene, sul fronte librettistico, a loro volta né Enrico Golisciani né Mario Soldati qui vogliano prendersi troppo sul serio, la perfetta relazione tra testo e musica che c'è nel Segreto (all'armonioso umorismo di Wolf-Ferrari è assai funzionale l'ironia quasi olimpica insufflata da Golisciani) non la ritroveremo nella dialettica tra Rota e il fulmineo sketch approntatogli da Soldati.

Insomma una scommessa che, tra qualche perplessità, poteva pure esser vinta, a patto però d'impaginare uno spettacolo ben calibrato e con il supporto di un'esecuzione musicale perfettamente idiomatica. Purtroppo a Jesi, sotto tale profilo, le cose non hanno funzionato troppo bene. Resa lode all'iniziativa di avvalersi, per la parte visiva, di due giovani (Bianca Piacentini e Cristina Attorrese) vincitrici del “Concorso per scenografi e costumisti” dedicato a Josef Svoboda e coautrici del Konzept, è invece proprio la mano di più lunga esperienza ad aver fallito il suo lavoro di collante: Alessio Pizzech firma una regia piatta, che non rende giustizia né alla vena parodistico-surreale di Rota né tanto meno alla funzione “etica” attribuita da Wolf-Ferrari al teatro comico. Il ritmo latita, certe gay gags appaiono tanto modaiole quanto posticce, il breve innesto recitato (qui posto a liaison des scénes tra l'uno e l'altro lavoro, e affidato al baritono) fa molto varietà televisivo Fininvest anni Ottanta. E, benché nel Segreto di Susanna il vero protagonista in fondo sia il marito, è appunto il baritono Salvatore Grigoli – come attore pericolosamente occhieggiante a Massimo Boldi – il tallone d'Achille sul fronte canoro: voce poverissima di colori, presenza timbrica quasi inesistente, appiombo ritmico (non sempre agevole in Wolf-Ferrari) assai perfettibile.

Migliore la vocalità tenorile leggera e penetrante di Vasyl Solodkyy, benché la trasformazione dell'istruttore di guida in una sorta di gigolò palestrato non aiuti la resa del personaggio (ma forse, per il regista, si trattava d'un ideale pendant al servo muto smancerosissimo poi portato in scena dal mimo Salvo Pappalardo). Quanto ad Angela Nisi, si fa carico dell'intera parte femminile dello spettacolo senza personalità debordante, ma con scorrevole eclettismo e professionale spigliatezza. Il tutto amministrato dalla bacchetta di Gabriele Bonolis con accorte differenziazioni timbriche tra Rota e Wolf-Ferrari (Time Machine Ensemble è un'orchestra molto duttile) e qualche sonorità di troppo – in rapporto al volume degli interpreti a disposizione – nel Segreto di Susanna.

Paolo Patrizi

23/11/2021

La foto del servizio è di Binci.