Madrid
Il Wagner ripudiato
La seconda opera di Wagner si conosce poco grazie alla censura o divieto posti in origine dalla famiglia stessa. Strano che non si possa vedere – almeno in certi luoghi ‘sacri – un titolo che, su un testo di Shakespeare ben più complesso e interessante del libretto scritto dallo stesso Wagner riducendolo a un'opera buffa, versa sull'inutilità dei divieti, in questo caso dell'amore ( Das Liebesverbot, nell'originale tedesco).
Non si deve pretendere di trovare un Wagner vicino alla maturità – ancora mancava il Rienzi prima dell'Olandese – in un autore ancora alla ricerca di una voce propria e che, dopo un tentativo di continuare la strada dell'opera tedesca post-Weber ( Die Feen, altra rarità che di recente si poteva solo vedere a Parigi qualche anno fa), fa i conti con l'opera buffa (particolarmente donizettiana), l'‘opéra comique' francese e anche il ‘Singspiel' di stirpe mozartiana (c'è un momento dove pare di sentire l'inizio del duetto Papagena-Papageno del Flauto). Di sicuro doveva tener presente gli artisti del teatro di Magdeburgo dove avvenne la prima assoluta (una recita con la seconda interrotta da una rissa tra gli artisti per motivi sentimentali) nonché i gusti del pubblico. Ma certo, conoscere bene o benissimo uno stile non significa sentirlo come proprio, e d'altronde si avverte che la brevità (‘gran pregio') non è stata mai una delle virtù del grande compositore. Con dei tagli queste recite fanno due ore e mezza di musica piacevole ma fortemente ripetitiva e non sempre adatta alle situazioni e ai personaggi. Sicuramente oggi non ne parleremo, come di tante altre opere a giusto titolo dimenticate che riemergono qua e là quando si cerca disperatamente un titolo ‘nuovo', non fosse il prestigio posteriore dell'autore. Ma Wagner incomincia a essere già Wagner e quindi ti pianta in mezzo a una scrittura piuttosto belcantista degli acuti degni della Brunilda del Crepuscolo, magari prima o dopo una messa di voce difficile o delle agilità tipo Norina, per parlare solo del soprano principale – l'opera ne ha ben tre più due tenori, un baritono, un basso e dei comprimari, e tranne gli ultimi nessuno ha la vita facile... Quella di Magdeburgo doveva essere una bella compagnia senz'altro. Si sentono così passi più tardi celebri, il preludio del Lohengrin all'inizio del secondo quadro dell'atto primo, in convento; qualcosa dell'Olandese nel grande duetto tra Isabella, la protagonista, e Friedrich,l'antagonista, e nell'aria di questo personaggio ‘negativo'. Siccome Wagner, spostando l'azione a una Palermo con governante tedesco, ha probabilmente cercato di opporre il mondo della disciplina e il rigore – finti in fine dei conti – del Nord dell'Europa a quello del piacere, il vizio, la corruzione del Sud (e quindi il divieto anche del Carnevale), il regista Kasper Holten (si tratta di un allestimento viribus unitis di Londra, Madrid e Buenos Aires) ha colto al volo l'occasione per fare appello alla situazione attuale dell'Europa con tanto di Angela Merkel che si presenta alla fine nei panni del Principe assente che ritorna per distribuire grandi quantità di soldi. Niente male, come anche i video, gli aerei, i cellulari che, con dei costumi sfarzosi e delle scene mobili semplici, aiutano a dare vivacità e scorrevolezza all'azione. Se poi si aggiungono i ricordi dei musical (la luna gialla dell'ultimo atto) o delle regíe del grande Felsenstein alla Komische Oper di Berlin (la scena della tempesta con il giuoco degli ombrelli), abbiamo un ‘pieno' di risorse che piacciono al pubblico, servono all'opera, magari caricando ancora la mano sulla caricatura, e hanno solo il problema che più di una volta non sai dove guardare perchè all'azione principale si aggiungono altre parallele, divertenti in quanto tali ma non sempre necessarie.
La versione musicale d'Ivor Bolton era buona ma non geniale. Molto più interessante nei momenti lirici (non molti) e piuttosto piatta – sempre forte – negli altri; anche se la sinfonia era il pezzo migliore mancavano sfumature, che invece si trovavano nella spassosissima animazione di un ritratto del giovane Wagner con occhi, ciglia e bocca tra il beffardo e il simpaticone. Ottima l'esecuzione dell'orchestra del Teatro e bravissimo il coro preparato da Andrés Máspero, che brillava anche dal punto di vista teatrale, ma si capiva poco di quanto cantava.
Due interpreti spiccavano su tutti gli altri, Manuela Uhl, valente Isabella alle prese con una parte quasi impossibile e ironica attrice, e ancora di più Christopher Maltmann, cui riusciva l'impresa impossibile di far credibile e perfino simpatico il suo negativo Friedrich, tutti e due con un canto generoso e ineccepibile. Molto bene anche Ante Jerkunica, divertente (per una volta) Brighella, María Miró (Marianna, seconda donna che ha forse i momenti più belli di tutta l'opera, bei piani e buoni acuti un po' rigidi) e brava la sfavillante Dorella di María Hinojosa. Tutti i comprimari vanno lodati, David Alegret, David Jerusalem, Isaac Galán e in particolare il gustoso Ponzio Pilato – che nome per un personaggio – di Francisco Vas. I due tenori principali erano Peter Lodahl, Luzio di voce piccola ma musicale e grande attore, e Ilker Arcayürek, Claudio di voce ancora più esile e con problemi in zona acuta – i nodi venivano al pettine nel duetto della prigione con Isabella con più di un momento angoscioso.
Nel secondo cast, complessivamente buono, Leigh Melrose era un Friedrich forse troppo caricaturale e di timbro piuttosto leggero, mentre Sonja Gornik (Isabella) sfoggiava un vocione spinto che non le rendeva facile i momenti più agili e lirici ma molto intensa. I tenori questa volta avevano sí, voce, ma con dei distinguo: Mikheil Sheshaberidze (Claudio) ha molta voce e di bel timbro ma non sa che farsene tranne esibirne l'estensione, e non è il solo a fare così tra i tenori da quelle parti, alcuno piuttosto noto per ragioni familiari. Peter Bronder è un ottimo Mime, ma un timbro poco piacevole e con vibrato non è l'indicato per Luzio, e neanche la figura è la più adatta. Martin Winkler offriva invece un Brighella a dir poco strepitoso e la sua grande scena meritava l'ovazione ricevuta.
Alla fine arriva in aereo, nova dea ex machina, perfino Angela Merkel (ovvero il Re di Sicilia) con tanti soldi e smorfie per tutti. Qualche volta la modernizzazione degli allestimenti lirici è un bene.
Jorge Binaghi
3/3/2016
Le foto del servizio sono di Javier del Real.
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