RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Matinée all'Auditorium

Il 14 gennaio 1895, su Le Gaulois, un articolo intitolato Una domenica al Conservatorio descriveva le emozioni vissute all'ascolto della Quinta Sinfonia di Beethoven da un Marcel Proust quasi ventiquattrenne. Similmente questa cronaca potrebbe intitolarsi Una domenica all'Auditorium, con riferimento all'auditorium Arturo Toscanini di Torino, che domenica 5 ottobre 2014, alle ore 10:30, ha ospitato il primo di una serie di appuntamenti in cui di volta in volta alcuni degli elementi dell'Orchestra Sinfonica Nazionale (OSN) saranno impegnati nell'esecuzione di concerti che, potremmo dire, stanno alla stagione 2014/2015 vera e propria come gli spin-off ai film di successo. “Le Domeniche dell'Auditorium”, questo il titolo dell'iniziativa, avranno come asse portante il focus su una diversa famiglia di strumenti dell'orchestra, o su alcuni ensemble particolarmente significativi. Per essere esatti si tratta di occasioni di ascolto a metà tra la lezione e il concerto. Ad un'introduzione tenuta da Paolo Gallarati, ordinario di Istituzioni di Storia della musica e di Drammaturgia musicale presso il Dipartimento di studi umanistici dell'Università di Torino, segue una rassegna di brani ad hoc per far comprendere quanto detto nella pratica, con l'ascolto diretto.

A fare da apripista è stata la famiglia degli archi: Roberto Ranfaldi (violino, spalla dei violini primi nella formazione stabile dell'OSN), Matilde Scarponi (viola), Pierpaolo Toso (violoncello) e Gabriele Carpani (contrabbasso) hanno fornito esempi concreti delle sonorità e delle estensioni dei loro strumenti, cogliendo l'occasione per snocciolare qua e là curiosità interessanti. Chi l'avrebbe mai detto (esclusi gli “addetti ai lavori”, naturalmente!), per esempio, che all'interno della cassa armonica del violino vi fosse un asse di legno chiamato catena per assorbire la pressione che il violinista esercita sulle corde con l'archetto, e che l'archetto di un violino è fatto in pernambuco (Caesalpinia echinata), legno originario del Brasile, che il prezzo di uno di essi può andare dai 3-4000 fino ai 100000 euro, che chi lo costruisce è chiamato archettaio (artigiano distinto dal liutaio, che si limita alla costruzione dello strumento) e che i due maggiori archettai del Settecento furono un certo François Tourte (chiamato lo “Stradivari dell'archetto”) e un certo Jean Pierre Marie Persoit?

Una volta presentati gli strumenti da parte dei quattro professori sopra citati, hanno preso posto sul palco tutti gli archi dell'OSN, o per lo meno tutti quelli non impegnati nella Traviata al Teatro Coccia di Novara, sotto la direzione di Juraj Valcuha, in scena il 12 ottobre.

Il programma del concerto ha avuto come filo conduttore non solo gli archi, ma anche il periodo in cui maggiormente rifulse il loro splendore: il XVIII secolo. E come era quasi di prassi nel XVIII secolo, si è fatto a meno del direttore d'orchestra. La prima parte del concerto ha compreso il Concerto per violino e orchestra in la minore BWV 1041 di Johann Sebastian Bach, con Roberto Ranfaldi solista, eseguito con magistrale perizia e notevole pulizia di suono, sebbene a volte la sonorità dell'orchestra tendesse a coprire eccessivamente il solista (segnaliamo la versatilità di Matteo Ruffo, dei violini secondi, che ha eseguito la parte del basso continuo al clavicembalo, abbandonando momentaneamente il violino su una sedia), e la Sinfonia per archi n°2 in re maggiore MWV N 2 di un Felix Mendelssohn Bartholdy dodicenne (il brano è del 1821) ancora impregnato di Settecento e di stile galante, in cerca di una personalità artistica ancora di là da venire, la cui esecuzione ha puntato sull'intreccio polifonico delle voci, secondo quanto descritto da Gallarati in apertura.

È da rilevare una certa coerenza interna nelle due parti della matinée (divisione comunque fittizia, perché svoltasi senza intervallo): se nella prima parte il trait d'union è stato Bach, prima con un suo brano, poi con uno dell'artefice della “Bach Renaissance”, nella seconda è stato Benjamin Britten. Infatti, alla pensosa meditazione della Ciaccona in sol minore di Henry Purcell nella rielaborazione, appunto, di Britten, di esecuzione piuttosto scolastica, ha fatto seguito la briosa interpretazione della Simple Symphony Op. 4 di Britten stesso (1933-34), composizione che, più che di una sinfonia, ha il sapore di una suite di danze settecentesca, a giudicare dai nomi dei movimenti (Boisterous Bourrée – Playful Pizzicato – Sentimental Saraband – Frolicsome Finale) e dal suono arcaizzate delle sue melodie. L'elemento didattico più interessante è stato il secondo movimento, un brano interamente eseguito con la tecnica del pizzicato , sulla falsariga di quanto già Cajkovskij aveva sperimentato nel terzo movimento della sua Quarta Sinfonia Op. 36 (1878).

Christian Speranza

15/10/2014