RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 

 

Parigi

Esce dall'ombra la donna che non ce l'ha?

Yannick Nézet-Séguin

Poco fa scrivevo qui stesso dei cent'anni de Die Frau ohne Schatten di Richard Strauss a Vienna. A quanto pare il titolo sta riprendendo quota come aveva fatto negli anni sessanta e settanta del secolo scorso per poi diventare sempre più raro o praticamente ridotto a qualche casa di madrelingua tedesca. Non solo il Met di New York l'annuncia sul cartellone della prossima stagione ma anche Rotterdam e adesso in forma di concerto a Parigi sempre con la direzione di Yannick Nézet-Séguin, che è sempre più prossimo alla perfezione. Se è vero che la sua fama si deve finora più ai suoi compromessi sinfonici, la carica di direttore musicale del Met gli ha fatto frequentare sempre più l'opera e mentre prima mi sembrava appunto troppo sinfonico nelle sue letture della musica lirica, questa volta (sarà stato complice anche il sinfonismo di Strauss) con solisti, cori (due, il Radio Symphony Chorus di Rotterdam e la Maîtrise di Radio France, preparati rispettivamente da Wiecher Mandermaker e Sofi Jeannin) più la Rotterdams Philharmonisch Orkest (di cui Nézet-Séguin è stato fino a poco fa direttore) tutto sembrava in perfetto equilibrio, e non si perdeva quasi una parola e manco un suono. È vero che la lettura più interessante e personale veniva dal lato umano della partitura mentre quello mitico restava magnifico ma un po' meno personale; si tratta comunque di una riserva pignola e poco generosa.

Per esempio, quel meraviglioso momento finale dell'atto primo sempre più morendo e piano è stato memorabile. Qui però si deve aggiungere la prestazione di Michael Volle nei panni di Barak, il migliore che abbia mai visto dal vivo. Non amo particolarmente le sue interpretazioni in italiano o francese, ma quelle in madrelingua risultano sempre più affascinanti. Non c'era messinscena ma lui (e non solo lui) ci facevano capire il senso di ogni singola situazione, che non sempre risultano chiarissime dal testo poetico ma confuso di von Hofmannsthal. Dal punto di vista squisitamente vocale l'opera è tra le più difficili da distribuire. Volle, come dico, è stato bravissimo anche se per le mezzevoci arrivava alla fine un po´stanco. L'Imperatore era il tenore (registro chiaramente odiato da Strauss) Stephen Gould, uno dei pochissimi oggi capaci di venire a capo di una parte forse breve –per rapporto agli altri principali – ma impervia. Qualche attacco un po'duro è la sola cosa che si può notare se si pensa alla sua grande prestazione a Vienna.

Gli altri ruoli maschili non hanno la stessa importanza ma vanno notati il baritono Thomas Oliemans (Il Messaggero di Keikobald), un po' chiaro per il ruolo e il diminuito ma bravo tenore Bror Magnus Todenes nella piccolissima ma difficile parte dell'apparizione di un giovane. I tre fratelli di Barak erano più che corretti – Nathan Berg,Michael Wilmering, e ottimo Andreas Conrad, anch'esso tenore e quindi tenuto a sopportare una tessitura scomoda. Voce di donna minore ma alquanto importante è quella del Falco interpretata da Katrien Baerts, troppo scura per la parte e in alcuni interventi con troppo vibrato. L'Imperatrice di Elza van den Heever che se non erro cantava per la prima volta il personaggio – era bravissima, con qualche acuto un po' metallico all'inizio e il famoso salto da acuto a grave nel terzo non proprio a pennello, ma tutto sommato complimenti per un ruolo così difficile. Ancora più lo è quello della moglie di Barak, affidato a Lise Lindstrom. È stata la prima volta che questo soprano riesce a convincermi pienamente. Alcuni acuti sono sempre aspri, ma qui si capisce e perfino servono al personaggio, e qualche grave è scarso, ma la voce correva rigogliosa e l'interpretazione era, insieme a quella di Barak, la più commovente. Michaela Schuster conosce bene il ruolo della Nutrice dell'Imperatrice, il personaggio malefico per eccellenza, e lo interpreta benissimo; dal punto di vista puramente vocale ha avuto sempre degli acuti problematici e non è certo questo il momento della carriera per correggere difetti o limitazioni ma ha saputo con intelligenza fare di necessità virtù e riuscire così a un'interpretazione se si vuole troppo istrionica e sopra le righe ma che rientra nella tradizione – forse non la migliore né la più ricca – dell'immagine della strega. Orchestra e cori gareggiavano in perfezione anche se la prima aveva la meglio. L'enorme sala del Théâtre des Champs-Elysées era stracolma e gli applausi finali di una rara intensità.

Jorge Binaghi

27/2/2020