RECENSIONI
-

_ HOMEPAGE_ | _CHI_SIAMO_ | _LIRICA_ | _PROSA_ | _RECENSIONI_| CONCERTI | BALLETTI_|_LINKS_| CONTATTI

direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Vienna

Una “Donna senz'ombra” da vera favola

Cent'anni di questa FROSCH (così si conosce tra gli addetti ai lavori Die Frau ohne Schatten di Richard Strauss) in un nuovo allestimento per festeggiare il secolo e mezzo dell'Opera di Vienna – se non lo stesso palazzo, lo stesso posto. I miracoli sono ancora possibili se solo si pensa agli elementi esatti per produrli. C'era il tutto esaurito con tanta gente arrivata da tanti punti diversi ma una buona quantità di locali, e quelli di maggiore età – alcuni – con gli occhi lucidi.

È talmente difficile far bene le cose? Christian Thielemann aveva già dato prova a Salisburgo che questo era un ‘suo' titolo. E con l'orchestra della casa – cioè la Filarmonica di Vienna – il suono che arrivava era pressoché incredibile... ma non si trattava solo di suono ma di quanto quel suono raccontava e come lo raccontava. Il coro, preparato da Thomas Lang, contribuiva decisamente al successo incandescente della serata. Ma Strauss, in veste di uomo di teatro, scriveva anche per le voci... bene ma non per niente facile. E si sa la poca simpatia che aveva per i tenori. Ma anche le predilette, le voci femminili e in particolare quella del soprano, hanno una vita dura. Qui sembrava tutto semplice. A cominciare dalla moglie di Barak che non ha un nome ma qui era la grandissima Nina Stemme al meglio della sua immensa arte, ed era la prima volta che cantava il ruolo – solo avvertibile in alcuni sguardi a maestro e suggeritore. L'imperatrice del titolo è anch'essa una parte da brivido. Mai ho sentito – e visto – Camila Nylund così a suo agio in un personaggio impervio, soprattutto in zona acuta – il centro era un po' debole in qualche momento. La terza, la ‘cattiva', ossia la Nutrice, era Evelyn Herlitzius, già eccellente moglie di Bark: attrice impareggiabile, brava cantante che s'investe tutta; certamente gli acuti non sono sempre oro colato ma meglio un soprano drammatico con degli acuti aspri che un mezzosoprano che urla senza avere i gravi. Il ‘povero' tenore era Stephen Gould, una voce di acciaio in un ruolo – l'imperatore – che gli sta a pennello perché non richiede troppo (a parte la tessitura acutissima) in espressività, e il cantante era in esatta misura di dare quanto deve. Il ruolo più ‘umano' è quello di Barak, il tintore, affidato alla voce di baritono. Wolfgang Koch non sarà un fulmine e ha perduto in volume ma ha l'occorrente (fraseggio compreso) e in alcuni momenti arriva al livello dei suoi colleghi. Il messaggero è un ruolo anche baritonale difficile seppure breve e Sebastian Holecek ne usciva a testa alta. Maria Nazarova non sembrava un soprano leggero ma la sua voce del falco e della custode della soglia del tempio erano ineccepibili, così come tutti gli altri; citiamo almeno la voce dall'alto di Monika Bohinec e quella di un giovane, Benjamin Burns con poche ma difficilissime frasi.

La messinscena di Vincent Huguet, uscito dalla scuola di Chéreau, non era ‘moderna' e sì un po' piatta ma aveva il merito di restare dentro lineamenti tradizionali con quell'atmosfera da fiaba e di non disturbare i cantanti e di non complicare una comprensione del bellissimo ma non sempre chiaro testo di Von Hofmannsthhal. Quasi venti minuti di frenetici applausi alla fine dello spettacolo e viene da dire come Maddalena nel Rigoletto: “son pochi, valeva di più”.

Jorge Binaghi

9/6/2019

La foto del servizio è di Michael Pöhn.