Peralada
Due Tenori, due concerti
Il Festival sembra abbonato alla presenza di due tenori prestigiosi con rispettivi concerti. Questa volta toccava la nota ‘intima', presso la bellissima Chiesa del Carmine, a Klaus Florian Vogt con un programma più o meno ‘da camera', accompagnato al pianoforte da Jobst Scheneirat. Un programma non molto lungo, compresi due pezzi fuori programma, che annoverava ‘lieder' di Schubert e Brahms, curiosamente la parte meno interessante, dato che l'interpretazione risultava piuttosto piatta, qualcosa d'inedito finora in questo cantante, come sempre un esempio di musicalità e di tecnica, ma in quest'occasione non del tutto in stile, ma anche di operetta (Lehár, Kalman) e musica da film (May), dove il livello saliva decisamente per arrivare al punto più alto nei tre momenti operistici della serata: l'aria del ritratto (dal Flauto mozartiano), presentata in modo squisito seguita da due frammenti di Wagner (Die Walküre e Lohengrin, ruolo diventato in qualche modo la sua carta da visita), dove dimostrava di seguire la linea di antecessori illustri che superavano la rigidità di ‘repertori diversi'. Il suo timbro particolare non sembrava il più adeguato per West Side Story (''Maria'). Buon successo, ma forse Vogt è soprattutto un cantante d'opera.
Veniva poi il momento, presso l'Auditorio del Parco, all'aria aperta, di Juan Diego Flórez accompagnato dall'orchestra di Cadaqués, diretta dal concittadino Espartaco Lavalle, stretto suo collaboratore anche per quanto riguarda il progetto sociale “Sinfonía por el Perú”, che s'ispira al noto Método Abreu, quello del Venezuela, che ha dato, tra altro e altri, Dudamel. Purtroppo, nè orchestra nè direttore erano al livello del tenore, eccellente come al solito. E' vero che il programma rispondeva soprattutto a un più volte annunciato, e adesso messo in atto, cambiamento nel repertorio, più esteso dato che ci sarebbe adesso una voce più ampia e ricca in centro. Personalmente non ho trovato niente di questo, e invece in particolare nel repertorio di autori francesi (Gounod ma soprattutto Massenet) mi è parso di trovare un volume un po' scarso appunto in zona centrale, avara poi di colori. Invece il belcantista rimane straordinario, come si evidenziava nei frammenti donizettiani di Lucrezia Borgia, Favorita, Elisir e Lucia (per ordine di eccellenza) e perfino in Verdi, dove l'aria del tenore di Jérusalem (un altro ruolo dove altro è cantare un'aria e altro l'opera completa) risultava ben più interessante del Rigoletto (“La donna è mobile”). Dedicava poi la famosa canzone messicana “ La Malagueña ”, accompagnandosi egli stesso con la chitarra, a Teresa Berganza, che riceveva insieme a lui la medaglia del Festival, e che un giorno prima era la figura centrale di una conferenza con molto pubblico alla Biblioteca del Castello per ricordare Victoria de los Ángeles a dieci anni della scomparsa.
Jorge Binaghi
9/8/2015
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