RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Luci e ombre di Lucia

In un panorama operistico afflitto da regie discutibili, solite trapiantare melodrammi ottocenteschi in epoche moderne e contemporanee con effetti deleteri sulla mimesis e soprattutto sulla comprensione della vicenda, in particolare per coloro che si accostano per la prima volta o solo saltuariamente alla lirica, per non parlare degli effetti distraenti sulla fruizione della musica e del canto, generati da allestimenti straripanti di comparse, macchinari e arredi di scarsa o nulla utilità, non può non costituire un'oasi di pace la mise en scène della Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti proposta dal Bellini di Catania il 19 aprile (con repliche fino al 27): si tratta di un allestimento del Teatro “G. Verdi” di Salerno, per la regia di Giandomenico Vaccari, le scene, i costumi e le proiezioni di Alfredo Troisi e le luci di Antonio Alario, che ha il principale merito di mantenere intatta l'epoca storica in cui è ambientata l'opera, e cioè la Scozia del XVI secolo, integrando una scenografia minimale con efficaci proiezioni che conferiscono profondità e dinamicità all'azione, esaltando al tempo stesso l'atmosfera brumosa che avvolge la vicenda, in linea con i capisaldi del romanzo storico di ambientazione gotica, del quale Walter Scott, autore del romanzo The bride of Lammermoor dal quale Salvatore Cammarano trasse il libretto, è stato uno degli esponenti principali.

A tal proposito, va senz'altro notato che l'uso di mimi e figuranti durante la rappresentazione, che nelle parti strumentali si muovevano sulla scena adombrando sinistre entità o larve di defunti, interagendo silenziosi e spesso quasi inavvertiti con i personaggi durante lo svolgersi dell'azione, lungi dal costituire una della tante superfetazioni gratuite e confusionarie propinate al pubblico da registi blasonatissimi e richiestissimi (le monache onnipresenti della Tosca di Livermore o lo spettro della Pasta nella Norma dello stesso), in questa Lucia adombravano e rendevano ostensivo quello che è il reale antefatto della vicenda, una fosca storia di vendette familiari e di spettri sanguinosi nascosti nella fonte nei pressi della quale la protagonista fa la sua prima apparizione, spettri che ritornano ossessivi e angosciosi nella celeberrima aria della follia. Ne risultava un amplificarsi del clima di predestinazione e di ineluttabilità che avvolge tutta la trama, centrando e focalizzando il vissuto dei singoli personaggi, in particolare dei due sfortunati amanti Lucia ed Edgardo, vittime di loschi giochi di potere e di eventi che li sovrastano e nelle mani dei quali essi sono poco più che burattini.

I costumi, molto curati e con una predominanza di colori scuri, contribuivano a evocare un'atmosfera luttuosa sempre incombente, dove anche il bianco delle vesti delle apparizioni femminili e di quelle di Lucia, nella scena della follia con la classica camicia da notte insanguinata, risultava una nota angosciosa e straniante, che trovava il suo culmine nella scena finale, dove è stato proprio il fantasma di Lucia a giungere dal fondo del parterre, avanzando lentamente quasi a chiamare definitivamente a sé l'amato Edgardo.

Se sul versante visivo l'allestimento è risultato appropriato ed elegante in tutte le sue parti, e in special modo nella dinamicità delle proiezioni e nell'accurata tavolozza cromatica scelta per le stesse, purtroppo non può dirsi la medesima cosa per il versante musicale, al quale si riferivano appunto le ombre adombrate nel titolo di questa recensione. Eh sì, perché se l'orchestra del Bellini, diretta da Stefano Ranzani, ha dato come sempre il meglio di sé, soprattutto per quel che riguarda la sezione fiati, con interventi solistici del primo flauto, del primo oboe e dei corni di tutto riguardo, e impeccabile è stato il violoncello in tutta la drammatica, accorata ultima scena che vede protagonista assoluto Edgardo, la reciproca non vale per il generale rapporto tra buca e palcoscenico, in particolare nel primo atto, dove una certa monocromia impostata su un forte che spesso rischiava di sovrastare i cantanti, unita a ritmi spesso troppo serrati, ha conferito più volte all'insieme un senso di frettolosità che non ha permesso al pubblico di gustare appieno momenti struggenti come il malinconico e desolato “Verranno a te sull'aure”, evidenziando inoltre uno strano squilibrio tra aria di sortita e cabaletta di Lucia, dove, come poi anche nella scena della follia, la cabaletta risultata inopinatamente più lenta dell'aria. Su un ottimo livello dall'inizio alla fine si attestava invece il coro, che il maestro Luigi Petroziello ha istruito con sicura professionalità: ne sono risultati interventi sempre precisi, con sonorità sempre rotonde e ben curate, che non hanno mai sovrastato i solisti, conferendo anzi un particolare fascino sonoro a tutte le scene d'insieme e ai concertati.

Quanto ai solisti, va senz'altro notata la bella e brunita voce del basso George Andguladze, nel ruolo di Raimondo, precettore di Lucia, del quale è stata ripristinata nella scena terza del primo atto l'aria “Ah! cedi, cedi, o più sciagure” insieme alla cabaletta “Oh! qual gioia in me tu desti!”: di grande musicalità e buona dizione, il cantante si è distinto anche per la cura rivolta ai recitativi e per l'ottima interpretazione di “Dalle stanze ove Lucia”, dove la lunghezza della sua voce, unita a un fraseggio eccellente, ha permesso di gustare appieno il pathos disperato di questo arioso, spesso guastato da scatti e incertezze dovute a voci inadeguate o a una scarsa musicalità. Christian Federici, che interpretava il perfido e opportunista Enrico, fratello di Lucia, ha confermato ancora una volta le sue doti di ottimo baritono, già notato ne I Puritani dello scorso settembre: accurato nel fraseggio, morbido nell'emissione e in sicura crescita vocale, caratteristica che gli permetterà sicuramente di affrontare in futuro ben più impegnativi ruoli, ha dato prova anche di sicure doti sceniche e drammatiche, riuscendo a rendere gradevole una scena abbastanza di maniera come il duetto della torre, tra Enrico ed Edgardo, brano anche questo non spesso eseguito ma qui ripristinato per amor di completezza.

Di altissimo livello il tenore Francesco Demuro: un Edgardo nobile e appassionato, dalla dizione eccellente e dalla vocalità calda e pastosa, sempre preciso negli attacchi, senza quelle anticipazioni che affliggono moltissimi cantanti, mai incline a scatti esibizionistici, ma sempre aderente al dettato musicale, con una dolcezza e morbidezza di emissione che a chi scrive ha ricordato la bellezza della voce del Giuseppe Di Stefano dei tempi d'oro, in special modo nel sommesso e quasi stranito attacco del “Chi mi frena in tal momento”, spesso ormai urlato a sproposito, e nell'accorata disperazione di “Tombe degli avi miei”, seguita dalla dolcissima cabaletta “Tu che a Dio spiegasti l'ale”, che ha segnato il definitivo trionfo del giovane tenore nell'autentica ovazione che gli ha tributato il pubblico.

Tutto sommato poco più che routinaria la Lucia di Maria Grazia Schiavo: si è già detto della strana anomalia che ha afflitto le cabalette a lei assegnate, ma quel che più ha poco convinto nella sua interpretazione di uno dei ruoli in assoluto più impegnativi per un soprano è stata innanzitutto la scarsa aderenza scenica al personaggio, con un'attenzione quasi esclusiva a una vocalità alquanto asettica improponibile nel dopo-Callas. Se nell'aria di sortita “Regnava nel silenzio” ciò poteva ancora imputarsi a emozione o a un avvio un po' incerto, del resto non infrequente in questi ruoli, tutto il prosieguo dell'opera ha manifestato le stesse incertezze, con punte di acuti taglienti, evidenziando altresì una zona media piuttosto debole, il che ha reso la scena della follia alquanto scolastica nei recitativi, mentre il suo “Ardon gli incensi” non si è distinto affatto per accuratezza dei legati o per morbidezza di emissione.

Adeguati tutti i comprimari, i tenori Marco Puggioni (Lord Arthur Bucklaw) e Nicola Pamio (Normanno), e il giovane mezzosoprano Claudia Ceraulo nel ruolo di Alisa.

Pubblico abbastanza numeroso e plaudente ma piuttosto maleducato qua e là, intento a smanettare con il cellulare per inviare foto e filmati agli amici, col risultato di disturbare e distrarre continuamente chi avrebbe voluto ascoltare e non fotografare e filmare la rappresentazione.

Giuliana Cutore

20/4/2024

Le foto del servizio sono di Giacomo Orlando.